di Alessandro Grimaldi, da Budapest
Budapest, 20 giugno, notte dei musei: con un unico biglietto è possibile visitare 101 siti d’interesse. Non so ancor bene dove inizierà il mio programma, ma ricordo che qualche anno fa la stessa serata iniziò dal museo di storia militare, lì dove c’era la caserma dei bosniaci, al posto di uno dei vecchi bastioni del Castello di Buda, da dove giunsero le armate cristiane a cacciare i turchi.
Si poteva percorrere tutto il perimetro dell’edificio: la tomba dell’ultimo pascià, un po’ di storia dell’artiglieria ungherese lì in bella mostra, un cancello e, lì dietro, una specie di bunker con una sorta di carro armato tozzo interrato. Ci spiegarono che negli anni ’50, al culmine dello scontro con il non allineato Tito, venne fortificato tutto il confine con quella che allora era la Yugoslavia. Erano altri tempi e, anche se fredda, era sempre guerra. E anche se la guerra vera era finita da una manciata di anni, ogni ungherese aveva ancora in casa un fucile.
Nessuno avrebbe mai pensato che quel confine sarebbe stato di nuovo militarizzato nel giro di tre anni, almeno secondo quanto annunciato dal governo ungherese in settimana.
Qui a Budapest, però, nessuno si scompone: qui i migranti non sono un problema, non lo sono mai stato, non vendono accendini e non affollano le stazioni. L’italiano medio o medio alto che viene a Budapest si sorprende sempre di come ci siano pochi extracomunitari (una parola che non si sente più, forse perché sta perdendo significato la parola comunitario) in giro, e la ragione è semplice: l’extracomunitario che arriva in Ungheria continua per la sua strada verso la Germania, la Francia o il Regno Unito. Certo non resta a far l’operaio per 300 euro o i lavori socialmente utile per 150 euro. E poi per quelli ci son già i rom, ma questa è un’altra storia.
Eppure son mesi e mesi che il governo si impegna a fondo sul problema dei migranti, all’inizio soprattutto kosovari, e ora non solo: dall’inizio dell’anno, sono circa 50.000 gli sventurati arrivati al confine tra Serbia e Ungheria. Sono problemi, soprattutto per loro. Ma il vero animale politico – e il primo ministro ungherese Viktor Orban lo è – sa che queste sono le grandi opportunità da prendere al volo. Ed ecco quindi il premier subito indire una sorta di grande consultazione nazionale, con questionari da compilare online o da rispedire debitamente compilati, con domande come queste:
«Secondo molti sentiremo parlare di aumento di atti terroristici. Quanto è importante per Lei l’espandersi del terrorismo (eccidio in Francia, allarmanti avvenimenti dell’ISIS) dal punto di vista della sua vita personale?» «Siete d’accordo col governo ungherese che anziché aiutare gli immigrati c’è piuttosto bisogno di aiuti alle famiglie e ai nuovi nati?»
Per tutti e 12 i quesiti, tre le risposte possibili: «Sono pienamente d’accordo, nel dubbio sono d’accordo, non sono d’accordo». L’operazione, però, pare, per fortuna, non avere avuto molto successo: l’iniziativa si chiude il 30 giugno e finora sono stati compilati circa 200.000 questionari. Pochi per uno stato con quasi dieci milioni di abitanti. E allora, per chiarire meglio il concetto, ecco che il Paese è stato riempito di grandi cartelloni azzurri che pubblicizzano la Nemzeti Konzultáció (Consultazione Nazionale). A riempirli slogan come «Se vieni in Ungheria, non rubare il lavoro agli ungheresi» e «Se vieni in Ungheria rispetta le nostre leggi» tutti rigorosamente scritti in ungherese.
Logica, quindi, quasi scontata, la reazione dell’opposizione, soprattutto sui social, che ha ironizzato sulla campagna, storpiandone le parole d’ordine: «Se vieni in Ungheria, portaci un primo ministro sano di mente», «Se vieni in Ungheria, rispetta la cultura degli Avari« (il popolo che occupava queste terre prima dell’arrivo dei magiari nel IX secolo).
E poi c’è il muro: 4 metri di altezza per 175 Km di lunghezza
Il tutto nell’indifferenza generale perché, in fondo, in Ungheria c’è un unico partito al governo, per la seconda legislatura, con più dei due terzi dei seggi in parlamento. E per di più con degli organi di controllo, come la corte costituzionale, la banca centrale e la magistratura, fortemente indeboliti. Quasi scontato rassegnarsi. Chi non lo fa, invece, si interroga sulle motivazioni di questo annuncio.
Perché Orban ha deciso di costruire questo muro? Da un lato, perché l’Orban della maturità è profondamente conservatore, come il suo elettorato, e crede davvero ai pericoli del mondo multiculturale che molto spesso cita nei suoi discorsi. Dall’altro, perché, nonostante la buona salute dell’economia, il suo governo sta subendo il primo vero calo di popolarità dal trionfo delle ultime elezioni. Certo, si tratterà anche di fenomeno fisiologico, ma intanto il suo partito Fidesz ha già perso due elezioni supplettive e, secondo i sondaggi, sarebbe in costante calo.
Bisognerà quindi far pur qualcosa!
Va ricordato poi che, prima della crisi dei migranti, Orban si era fatto notare per la sua infelice frase sulla reintroduzione della pena di morte in Ungheria, subito corretta in una reintroduzione della pena di morte “nel dibattito politico”. Insomma, il primo ministro sembra tanto voler distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, nel caso ancora esistesse, da altri problemi. Dallo scandalo delle finanziarie legate al governo che sono fallite una dopo l’altra, manco fossimo nell’Albania degli anni ’90, per esempio. Oppure da questioni legate al chiacchierato settore energetico.
C’è, infine, un’altra possibilità. Che si riesce a vedere solo se si pensa in grande. L’anno scorso, in periodo pre-elettorale, Orban ha inaugurato la quarta linea della metro, la nuova piazza del Parlamento, i giardini del Castello: insomma ha rifatto mezza città. Si è poi buttato nel mondo del calcio, sua grande passione. Hanno fatto molto discutere, infatti, i sostanziosi fondi spesi per diversi stadi: quelli del Fradi (Ferencvaros), del MTK e del Debrecen. Senza contare il costosissimo gioiellino che è la Pancho Arena progettata dal grande architetto organico magiaro Makovecz, giusto a due passi da casa Orban. Infine, in vista dei Mondiali di nuoto del 2017, sono in corso i lavori per il grande complesso Dagàly.
Sono tutte grandi opere che il governo può gestire direttamente, usandole per creare lavoro e per stanziare cospicue somme a poche grandi aziende, molto riconoscenti. Il muro potrebbe essere la prossima: una barriera delle dimensioni annunciate dovrà pur costare qualcosina. Cui vanno aggiunti i fondi per le telecamere, le torrette, i guardiani e chilometri e chilometri di filo spinato. Andranno per forza installati perché, del resto, dovremo pur ricordarci a cosa serve un muro: ad essere scavalcato!
Sosteneteci. Come? Cliccate qui!
.