di Alice Bellini
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
Le conseguenze dell’invidia
In un piccolo villaggio tra i monti, viveva un tale di nome Modhu. Era un uomo che non aveva cuore, se non per se stesso. Non sopportava il benessere degli altri, né la loro gioia o che gli affari di un qualche suo vicino potessero andare per il meglio. Ricolmo d’invidia fino a scoppiare, passava le giornate a rodersi il fegato alla vista di un sorriso o di un lavoro ben riuscito.
Così, cominciò a pregare Dio di star bene e di poter avere tanti soldi e tanti servitori. Questa fu la sua preghiera per mesi e mesi. Eppure, questa rimaneva inascoltata. I giorni passavano e la preghiera non si esaudiva. Modhu insisteva, ma il risultato non sembrava arrivare.
Un giorno, però, un angelo bussò alla porta di Modhu, presentandosi sotto le mentite spoglie di un mendicante. Modhu, ovviamente, lo accolse con piacere, poiché quell’uomo non aveva nulla in più di lui, e subito gli si mise a parlare del suo cruccio. “Dicono che Dio sia misericordioso e che tutto ciò che uno chiede lo ottiene senz’altro. Eppure, io sono mesi che prego e non ottengo ciò che chiedo!”. Al che, il mendicante rispose: “Dio è misericordioso e vuole il bene di tutti, sei tu che preghi solo per te stesso, non rivolgendo mai una preghiera agli altri. Ecco perché Dio non può ascoltarti. Ma facciamo così, d’ora in poi riceverai tutto ciò che chiederai, ma sappi che il tuo prossimo riceverà il doppio di quella stessa cosa!”. E così dicendo, il mendicante se ne andò.
Rimasto solo ed entusiasta di ciò che le sue orecchie avevano appena udito, Modhu si mise subito a pregare, chiedendo cento taka e una bella casa. Aprì gli occhi, e taka e casa furono. Ma appena uscì in strada per gioire e mostrare al mondo ciò che aveva ottenuto, l’invidia lo travolse di nuovo come un treno nel rendersi conto che tutti i suoi vicini avevano ora ben due case e duecento taka a testa.
“Ma questo non è giusto! Non ho fatto nulla di male per meritarmi questo trattamento! Adesso ci penso io”.
Così dicendo, Modhu si richiuse in casa e si rimise subito a pregare. “Ti prego Dio, toglimi l’uso di una mano e di una gamba”. E così fu. E il suo cuore ebbe un attimo di sollievo quando vide che tutti i suoi vicini avevano gambe e mani completamente paralizzate. Ma questa sua gioia non durò molto: l’invidia per le case e l’oro riprese subito il sopravvento.
“Ti prego Dio, rendimi cieco da un occhio”, pregò allora Modhu. E di nuovo sentì gioia nel cuore quando vide che tutti gli altri compaesani avevano perso completamente l’uso della vista. La contentezza aveva finalmente preso il sopravvento e un ghigno s’aprì sul volto storto di Modhu.
D’improvviso, però, qualcuno lo chiamò. Modhu si voltò: era lo stesso mendicante di qualche giorno prima. “Non c’è rimedio alla tua invidia, Modhu. Guarda, ti ha paralizzato e ti ha accecato. Ed ora rimarrai così tutta la vita: incompleto. Il resto dei tuoi vicini, però, ricominceranno a vedere e a camminare, perché nessuno di loro merita un tale destino”. E così fu.
Allora il mendicante si voltò e se ne andò, lasciando Modhu solo, con il suo mezzo corpo e la sua mezza vista, ma tutta la sua invidia.
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