Dopo una trattativa estenuante, si chiude un dossier internazionale che ha impegnato la diplomazia mondiale per anni
di Christian Elia
Segnatevi questa sigla: JCPOA, che sta per Joint Comperhensive Plan Of Action. Potrebbe essere davvero importante. E’ la sigla del documento di intesa raggiunto ieri, 14 luglio 2015, a Vienna tra il governo della Repubblica Islamica d’Iran e il gruppo di negoziatori, composto dall’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, l’italiana Federica Mogherini, dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America, Cina e Russia) più la Germania.
Nel testo, disponibile a questo link, si sottolinea come lo scopo del programma nucleare iraniano sia pacifico e che, si auspica, il pieno sviluppo e attuazione di questo accordo possa essere un elemento di stabilità regionale nell’infuocato quadrante del Vicino e Medio Oriente. Ecco, sulla seconda parte bisogna andar più cauti. Ma andiamo con ordine.
Partendo dalle parole di Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri di Teheran: “L’accordo è formalmente concluso. Si apre un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali. E’ il risultato di un lavoro molto duro di tutti noi ringrazio tutti coloro che siedono a questo tavolo e anche chi sta dietro e ha lavorato per mesi e anni per raggiungere questo punto. Un segnale di speranza lanciato al mondo”. E che Zarif sia soddisfatto lo si nota anche dalle foto che lo ritraggono piuttosto raggiante sul balcone dell’hotel di Vienna che lo ospitava.
La sigla dell’intesa, arrivata dopo una serie di rinvii seguiti alla prima bozza d’intesa firmata a Losanna ad aprile, segnano i punti che verranno verificati nel tempo dalla comunità internazionale sui quali l’Iran si è impegnato. In sintesi: le attività per l’arricchimento dell’uranio saranno limitate per determinati periodi e solo a Natanz, il numero delle centrifughe sarà ridotto a poco più di 6mila, per almeno quindici anni l’uranio verrà arricchito solo fino al 3,75 percento e a fini energetici, medici e di ricerca.
Il sito sotterraneo di Fordow sarà trasformato da sito per l’arricchimento in centro di ricerca, il reattore di Arak per produrre plutonio sarà riconvertito. Punto da chiarire – non di poco conto – è quello che riguarda i poteri ispettivi dell’Aiea (l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica), che andranno rivisti in un secondo momento. Teheran non ha intenzione di permettere interrogatori di scienziati iraniani e visite anche a siti militari, ma il punto andrà risolto.
Il motivo dell’euforia iraniana, molto più che al programma nucleare (per il quale al momento mancherebbero anche i fondi sufficienti) è dovuta alla revoca delle sanzioni Ue e Usa. In realtà, per ora, si parla di ‘sospensione’ delle sanzioni economiche, perché Bruxelles e Washington si riservano di valutare il comportamento degli iraniani. Ma questa notizia per l’economia iraniana è una boccata d’ossigeno. Restano le limitazioni connesse ai rapporti con Hezbollah e quelle riferite alle violazioni dei diritti umani, ma nel mondo della realpolitick sono sempre argomento secondario.
Manca ancora il passaggio al parlamento di Teheran e alle Nazioni Unite, ma ci siamo. Questo significa, in prima battuta, che l’economia iraniana nei prossimi anni potrebbe essere uno degli hub planetari in ascesa. Un mercato interno di grandissime potenzialità, per ora, era più o meno soffocato dalle sanzioni internazionali che rendevano le transazioni globali impossibili. Allo stesso modo, dopo anni difficili, le aziende potranno tornare a guardare all’Iran come a un partner strategico. Non che avessero mai smesso di farlo, ma sempre con complicate triangolazioni via Cina, Emirati Arabi Uniti, Oman e altro. Compreso un enorme tasso di contrabbando.
Un boom economico è l’ultimo tassello che serve al presidente Rohani per ergersi, definitivamente, a uomo del momento in Iran. Dopo gli anni complicati del dominio dell’intransigente Mahmud Ahmadinejad, Rohani si è presentato ed è stato presentato come ‘un nuovo inizio’. Riprendere le fila dell’economia nazionale, ormai ferita da anni di sanzioni, sarebbe il coronamento del suo progetto di restyling interno e internazionale.
Molto più della realtà. Perché l’accordo avrà anche delle ripercussioni. Che Israele tuoni al suicidio dell’Occidente era atteso. La sceneggiata del premier israeliano Netanyahu che mostrava un bizzarro cartello alle Nazioni Unite è ormai storia. Il disegno ‘dimostrava’ come l’Iran fosse pronto ad avere una bomba atomica (che invece Israele ha), ma i servizi segreti israeliani sono stati, involontariamente, quelli che lo hanno smentito.
Il rispetto dei diritti umani in Iran, per esempio, è lontano dagli standard che l’ascesa di Rohani aveva fatto sperare. Dalle condanne a morte alla condizione femminile, dalla libertà di stampa all’indipendenza della magistratura, siamo ancora molto lontani da uno standard minimo, anche se l’elezione di Rohani aveva fatto ben sperare molti.
L’asse internazionale sciita è un altro dato di fatto. In particolare in Siria, le milizie iraniane e le fedeli sodali di Hezbollah, da anni, operano senza scrupoli nel contesto bellico siriano come tutti gli altri attori. Il sostegno ad Assad e al suo regime è indifendibile con qualsiasi agenda politica declinata in chiave confessionale. Anche in Iraq, in chiave anti Isis, almeno sulla carta, l’ingerenza nella politica di Baghdad è sempre più esplicita e le milizie sciite non hanno fatto altro che avvelenare le tensioni regionali sull’asse interconfessionale.
Non gli sono da meno le monarchie sunnite del Golfo Persico. L’Arabia Saudita, che proprio in chiave anti-iraniana ha fomentato lo spirito revanscista sunnita. Un conflitto che sta distruggendo la Siria, lo Yemen e quel che resta dell’idea di uno stato iracheno. Questo accordo, che pone gli stessi Stati Uniti su una nuova lunghezza d’onda regionale, non potrà che sconvolgere equilibri storici.
Perché è innegabile che questo accordo diventerà davvero storico se porterà – in un certo periodo di tempo – alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l’Iran, cessate di colpo nel 1979, all’epoca della Rivoluzione islamica. Questo sarebbe un fattore dirompente nella regione e, come tutti i mutamenti epocali, imprevedibile.