di Francesca Rolandi
Il primo gruppo rock occidentale che si aggiudicherà l’onore di esibirsi in Corea della Nord al cospetto di Kim Jong-un saranno gli sloveni Laibach. La notizia è in questi giorni rimbalzata sulle pagine dei giornali di tutto il mondo e se il bizzarro evento si materializzerà effettivamente potrebbe davvero rappresentare lo scontro tra due mondi e senza ombra di dubbio due diverse tradizioni musicali.
Da una parte il mondo imbalsamato di Pyong Yang, con un regime anacronistico e delirante, e dall’altra quello situazionista della band slovena, pionieri dell’industrial rock, che hanno iniziato la loro carriera facendo imbestialire il potere costituito.
Correvano i primi anni ’80 in Jugoslavia e l’establishment iniziava a guardarsi dalle isole di contestazione che provenivano con sempre più intensità dagli strati giovanili. Mentre fino ad allora la scena rock locale non aveva mai mosso fondamentali critiche al sistema, dall’inizio del decennio lo spirito di contestazione, il nichilismo e gli atteggiamenti considerati eversivi dei primi aderenti ai nuovi movimenti si condensarono in una crociata delle autorità contro i punk, volta inizialmente a colpire i membri di una band filo-nazista slovena, che vennero in seguito processati.
Poco tempo dopo comparve in una cittadina slovena, Trbovlje, un gruppo di artisti e performer che si riunivano sotto il nome di Neue Slowenische Kunst (NSK, Nuova arte slovena), un contesto dal quale nacque il gruppo Laibach.
Fin da subito il gusto per la provocazione li portò a utilizzare ciò che più era considerato un tabù nella società dell’epoca, il nazi-fascismo e la sua iconografia.
Lo stesso nome, Laibach, era la traduzione tedesca del toponimo Lubiana ma risvegliava sinistre memorie dell’occupazione nazista. Il kitsch totalitario e militarista inondava le performance e i concerti del gruppo e non passò molto tempo prima che vennero banditi.
La loro predisposizione a flirtare con il male e con tutto ciò che era definito intoccabile si trasformò in un mito, rafforzato dalla perdita del cantante Tomaž Hostnik che si suicidò nel 1982.
È rimasta cristallizzata la fotografia di un concerto in cui il frontman, sul palco in uniforme, fu colpito al volto da una scheggia di vetro lanciata dal pubblico e continuò il suo concerto come se nulla fosse con un rigolo di sangue che scendeva lungo il mento.
I Laibach erano veramente nazisti? Certo che no, come ha spiegato anche il filosofo, anch’egli sloveno, Slavoj Žižek, ma la loro filosofia consisteva nella decostruzione dei meccanismi del totalitarismo attraverso la loro ripetizione e banalizzazione e un parallelismo con i simboli del potere jugoslavo.
Sebbene la loro carica eversiva si sia in parte persa dopo la fine della Jugoslavia, il gruppo ha continuato una carriera internazionale che li ha visti attivi con una ventina di album che hanno portato in giro per l’Europa e anche al di fuori un sound grezzo, baracco e sinistro e un messaggio che oggi mette sul banco degli imputati la società capitalista e neoliberale.
Che tutto questo sia stato compreso dai vertici coreani quando si è deciso di autorizzare il loro concerto al conservatorio Kim Won Gyun della capitale non è dato sapere. Il loro concerto a Pyong Yang però sarà una bella vittoria per i cultori dell’assurdo e del paradosso.