Bosnia i Hercegovina

Un villaggio abitato tutto l’anno solo da poche persone, attraversato da lupi e volpi, pastori e capre

progetto fotografico di Francesco Secchi
testo di Laura Cibien

 

Bosnia i Herzegovina, Bijela: un fiume, una valle, un villaggio. Manciate di case sparse lungo la strada sterrata che si snoda lungo la valle di un’affluente della Neretva. Sulle montagne tra Mostar e Konjic una comunità affronta da sempre la vita con gli stessi ritmi, attraversando generazioni e guerre. In fondo alla strada una segheria, un avamposto della Igman e poi i boschi. Dall’altra parte della montagna: la città di Mostar. Di qui solo vecchie case in pietra, qualche fazzoletto di terreno coltivato, covoni d’erba, una moschea, tetti sfondati, un vecchio mulino abbandonato, prati e alberi.

 

 

Un villaggio abitato tutto l’anno solo da poche persone, attraversato da lupi e volpi, pastori e capre.

Anziani che resistono come guardiani del paesaggio e delle tradizioni, e condividono i propri spazi e la propria montagna. Quando si ha bisogno del vicino, basta gridare il suo nome fuori dalla finestra. Quando si vuole compagnia, basta bussare ad una porta per essere accolti da un sorriso, caffè, carne essiccata, birra fresca, dolci fatti in casa e rakija.

Durante l’estate figli e nipoti tornano dalla Croazia, dalla Germania, dall’Austria, dall’Italia, dal Canada, dall’Australia… per andare a trovare chi è rimasto. Spesso per convincerlo ad andare a vivere in città, in una casa di riposo. Durante il rigido inverno il villaggio viene coperto da una coltre di neve, ognuno si rifugia in casa e nessuno sa cosa stia succedendo nelle abitazioni accanto. Se dovesse accadere un imprevisto, potrebbero passare giorni prima che qualcuno se ne accorga.

Invece ad agosto per  due settimane la valle viene popolata da un fitto vociare  attorno a tavoli imbanditi a cui sono invitati tutti coloro che ne sentano il richiamo e per qualche giorno si festeggia dall’alba al tramonto, senza fare parsimonia di birre, pita, cevapi, agnello e rakjia. Col calar della sera la valle si riempie di canti a cui partecipano tutte le generazioni. Poi Ferragosto passa, una ad una le auto posteggiate lungo la strada se ne vanno e torna il silenzio. Un lenzuolo copre prati e boschi. La settimana torna ad essere scandita dai test dei proiettili verso montagna.

Da sempre, la produzione di armi è parte della loro vita: da giovani hanno lavorato come operai nella fabbrica di munizioni Igman, giù a valle, e ora fra loro e la montagna i test continuano spezzando il silenzio e scandendo il ritmo della vita. Dall’avamposto in poi la strada verso i boschi viene chiusa da una sbarra. Un cartello avverte in quali orari il sentiero diventi luogo poco sicuro per i viandanti. Il noto rumore di una jeep risale dalla fabbrica di munizioni, su, fino in fondo alla valle. Boom. Boom. Boom. Una serie di scoppi cadenzati rimbomba tra gli alberi. Scie luminose illuminano il sentiero come fuochi d’artificio. A volte lo spettacolo dura solo pochi minuti, a volte può durare quasi un’ora. Poi il rumore della jeep e di nuovo il silenzio.

 

 

Gli abitanti di Bijela sembrano sordi a questo spettacolo. Fa parte della loro montagna. Guardiani di terreni e case svuotati dall’ombra della guerra, mantengono forte il legame con quello che sarà sempre il loro bosco, il loro fiume, la loro casa.

credits: http://www.francescosecchi.it/bijela-bianco/