Obama in Africa, qualcuno dica alla Cnn…

#SomeoneTellCNN è diventa trend su twitter con circa 152mila tweet. Tra rabbia e ironia i KOT (Kenyan on Twitter) hanno iniziato a dire alla CNN che: «uomo armato apre il fuoco in #Lousiana e uccidere la gente è #terrorismo. State segnalando questo “covo” del terrore?»

di Andrea Cardoni

«Nella parte più interna della zona orientale ci sono tribù di gente senza naso, con il viso perfettamente piatto (…), mentre i componenti di altre popolazioni posseggono solo un orifizio del viso e attraverso questo respirano e succhiano i liquidi servendosi di cannucce di avena (…), ai Blemnii manca la testa e hanno gli occhi e la bocca in mezzo al petto (…), i Garamanti non praticano il matrimonio e passano da una donna all’altra». È una descrizione dei popoli africani fatta nel 77 d.C. da Plinio il Vecchio in una trattazione enciclopedica che si intitola Naturalis Historia. Qualche secolo più tardi Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert nell’Enciclopedia descrivevano i “negri” come tendenzialmente viziosi e “perlopiù inclini al libertinaggio, alla vendetta, al furto e alla menzogna” (lo ricorda Annamaria Rivera ne “L’imbroglio etnico“). Negli anni Sessanta, con il susseguirsi delle varie indipendenze degli stati africani, con la guerra civile in Nigeria (o facendo appello al nostro immaginario, ciò che è stato “il Biafra”), e la nascita della cooperazione allo sviluppo, lo stereotipo e la mostrificazione (cit. Wu Ming) del continente sono state le leve retoriche ricorrenti nelle narrazioni delle organizzazioni umanitarie che dovevano e ancora oggi devono raccogliere fondi che dovrebbero risolvere tutti i problemi di un continente che non è un paese (il sito Africa is not a country racconta di un contintente formato da 54 paesi).

 

Poche ore prima della visita del presidente degli Stati Uniti in Kenya per il vertice Global Entrepreneurship, un dossier della CNN definiva il Kenya “focolaio terroristico” dove la minaccia è rappresentata dal gruppo Al-Shabab legato al-Qaeda.

Nell’aprile scorso in un attentato rimasero uccise 148 persone al Garissa University College e un anno fa nel Westgate Mall. In pochi minuti l’’hashtag #SomeoneTellCNN è diventa trend su twitter con circa 152mila tweet.

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Tra rabbia e ironia i KOT (Kenyan on Twitter) hanno iniziato a dire alla CNN che: «uomo armato apre il fuoco in #Lousiana e uccidere la gente è #terrorismo. State segnalando questo “covo” del terrore?». Oppure @masaku_ che in una foto fa il paragone tra il Kenya vero e quello visto dalla CNN

 

. @elnathan conferma ironicamente le ragioni della CNN con la foto del corridore Nixon Chepseba che nella finale del 1500m delle olimpiadi di Londra resta in piedi al traguardo e lascia a terra tutti i bianchi. @AnchoredCloud pubblica due foto di persone senza fissa dimora in America e commenta: se dovete raccontare le storie negative, iniziate dalle vostre”. @JimmyGathu invece sottolinea come la CNN mistifichi addirittura le mappe per assimilare ulteriormente il Kenya alla Somalia. Infine @lnmwangi pubblica un grafico in cui gli Stati Uniti sono il primo dei paesi occidentali per numero degli omicidi commessi con arma da fuoco.

Non contenta, la CNN rincara la dose proponendo un articolo dove presenta otto alternative di viaggio da fare in Kenya con immagini della testa di due giraffe che entrano a fare colazione in una casa, come fare un rally a Mombasa, fare un bagno in una lussuosa piscina all’aperto a forma di cuore tra le palme, fare un matrimonio nello stile masai.

“Se la CNN fosse sufficientemente civile dovrebbe chiedere scusa” ha detto Joseph Nkaissery del ministero degli interni del Kenya in una conferenza stampa.

#SomeoneTellCNN è solo l’ultimo degli hashtag lanciato dai KOT come forma di mobilitazione sui nuovi media: dalla creazione di Ushaidi alle ultime narrazioni su #Kibera, #Occupyplayground e #TheAfricaTheMediaNeverShowsYou. Nel 2009 Chimamanda Adichie, scrittrice nigeriana, ha ricordato in uno dei TED più visti, il pericolo dell’essere immersi in una storia unica, in una sola letteratura, in una sola rappresentazione di un continente, delle sue culture e delle persone che ci vivono dentro, quella in cui magari chi leggeva Plinio il Vecchio nel 77 d.C. poteva leggere e a cui oggi non possiamo più credere. «La storia unica», dice Chimamanda Adichie, «crea gli stereotipi e il problema degli stereotipi non è che non siano veri, ma che sono incompleti e fanno diventare una la sola storia e la conseguenza della storia unica è che spoglia le persone della propria dignità».«Le storie», continua Chimamanda, «sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie possono anche essere usate per ridare potere e per umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata. Quando respingiamo la storia unica, quando ci rendiamo conto che non c’è mai una storia unica riguardo a nessun posto, riconquistiamo una sorta di paradiso».

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In questi giorni valigiablu ha lanciato il questionario “Il giornalismo che vorresti” e forse quello che continua a perpetrare la narrazione con gli stessi pregiudizi di Plinio il Vecchio nonostante nel frattempo ci sia stata l’invenzione della stampa, del telefono, della fotografia, del cinema e di internet, dei viaggi low cost, dei documentari e delle inchieste è un giornalismo che si potrebbe iniziare a non volere.