Se le terre fossero due

La scoperta del pianeta Kepler 452 B mette l’uomo di fronte a una nuova opportunità di immaginarsi. L’Universo ha sempre posto all’uomo le sfide più grandi. E anche questa volta non è da meno. Kepler significa immaginare il possibile.

di Bruno Giorgini

Disperazione

Grande è la disperazione degli umani talchè quando la NASA annuncia che il telescopio spaziale Kepler ha individuato un corpo celeste, in molto simile alla terra, la notizia esplode su tutti i media e sulla rete. Almeno in Occidente se ne parla sulla affollata spiaggia romagnola in dialetto locale e al centro di New York in inglese universale, così come all’università di Oxford e di Bologna in linguaggio più tecnico che attutisce l’impatto sull’immaginario e si cuce con un filo di scetticismo in più.

Grande è la disperazione degli umani che sentono quanto il pianeta, il nostro pianeta, sia snervato e esausto. Lo sentono scricchiolare, quasi sbriciolarsi sotto i piedi, incapace ormai di sopportare il dominio umano e di supportare l’espansione dell’homo sapiens, le magnifiche sorti e progressive diventando sempre più cupe.

lucio-fontana-concetto-spaziale-1951Il pianeta, il nostro pianeta si impoverisce, dissecca, raggrinzisce. L’homo ha sempre praticato l’espansione, da quella territoriale a quella dei beni e economica, l’espansione demografica tanto quanto l’espansione del ciclo della vita un tempo attorno ai sessanta anni, oggi con una aspettativa che arriva a ottanta, almeno nel mondo occidentale, l’espansione della tecnologia e quella della scienza, l’espansione degli strumenti di morte e quella degli strumenti di cura, l’espansione degli agglomerati urbani dai villaggi alle odierne megalopoli fino alla Cosmopolis globale. Oggi questo nostro pianeta lo percepiamo come troppo piccolo, angusto sia per il numero che per i bisogni degli umani. L’espansione trova un limite fisico nelle dimensioni della terra e delle sue risorse. Per di più come suggerisce E.O. Wilson riflettendo sulla sesta grande estinzione di molte specie viventi che sembra essere in corso d’opera, se un pericolo c’è nella traiettoria umana, non risiede tanto nella sopravvivenza della nostra specie, quanto nel concludersi dell’estrema beffa dell’evoluzione organica: proprio nel momento in cui raggiunge la piena comprensione di sé attraverso il pensiero dell’uomo, la vita condanna a morte le sue creature più belle. Questa condanna ci riguarda e noi lo sappiamo.

Il limite e l’espansione

L’intera evoluzione dell’homo sapiens è stata modellata dall’espansione che implica il superamento dei limiti. Non in modo lineare, piuttosto zigzante con corsi e ricorsi, ma certo l’andamento è in media crescente almeno negli ultimi 10‐20.000 anni, diciamo l’epoca storica che conosciamo meglio (l’homo sapiens compare sulla terra circa 200.000 anni fa, mentre le altre specie homo, in particolare il Neanderthal, scompaiono annichilite). La questione è che l’individuo sapiens può pensare l’infinito e l’eterno, essendo invece finito nello spazio e mortale nel tempo. Ma posso io pensare qualcosa di cui non ho alcuna esperienza?

La risposta di Socrate quando nel Fedone discute della sua propria morte bevendo la cicuta di lì a poco, è l’immortalità dell’anima che quindi per definizione sperimenta l’eterno, cioè l’infinità temporale.

Da cui poi l’al di là, qualunque forma prenda, l’altro mondo non corrompibile e non transeunte. Si deve attraversare lo sgradevole portale della morte fisica ma poi tutto fila liscio come l’olio, finchè non arriva il rischio dell’inferno in cui s’avventura Dante; Leopardi, più laicamente, attraversa il buco nella siepe scrivendo l’Infinito; Ulisse viaggia tentando di superare le colonne d’Ercole per scomparire ingoiato dal mare, eccetera. La dinamica espansiva e la propensione a oltrepassare i limiti non sono fenomeni solo individuali. Così si esplorano nuovi territori e scoprono nuovi mondi, in terra come in cielo. I cieli dove l’eternità sembrava garantita, nulla si crea e nulla si distrugge, la materia è eterna mentre l’infinità dei mondi abitabili viene affermata da molti filosofi, tra cui Giordano Bruno che anche per questo finisce bruciato dall’ Inquisizione, perchè come ha detto S. Agostino, con tutta quella gente da redimere Dio sarebbe ammattito. Agostino la dice più in fino, però nella sostanza l’argomentazione contro l’esistenza di altre vite nell’Universo è questa. Accade dopo che Einstein scriva delle equazioni per cui l’universo non è infinito, ma illimitato, stando su una superficie sferica che per l’appunto è finita e illimitata, pensate a un pallone: comunque vi muoviate sulla superficie, di area finita non incontrerete alcun limite, la vostra traiettoria sarà sempre continua senza interruzioni.

Quindi scoprendo che si espande (soffiate nel pallone che si gonfia), la stessa dinamica cosmologica diventa espansiva. L’Universo rimane però eterno per Einstein finchè non arriva il Big Bang, l’esplosione primigenia da cui il nostro Cosmo prende origine. Ma se ha un’origine, per quanto lontana nello spazio e nel tempo (tra i 10 e 20 miliardi di anni luce), può avere una fine. Leopardi qui non lascia scampo. Tempo verrà che esso Universo e la Natura medesima sarà spenta. Parimenti del mondo intero e delle infinite vicende e calamità delle cose create non rimarrà neppure un vestigio, ma un silezio nudo e una quiete altissima empiranno lo spazio immenso. Allora non a caso fioriscono le ipotesi e le teorie dei pluriuniversi, insomma non c’è un solo Universo, ma ce ne sono tanti. Se il nostro universo non è immortale e eterno, i pluriuniversi presi insieme speriamo lo siano. Quindi la cultura dell’espansione è fondativa della specie homo dall’evoluzion sulla terra fino all’Universo, parendo proprio che spazio non ci sia per una cultura del limite. Un varco filosofico lo apre Eraclito laddove sentenzia: Il sole ha la larghezza di un piede umano…. il sole non andrà oltre la sua misura: se lo farà, le Erinni, ministre della giustizia, lo scopriranno. C’è, c’ha da essere, una giustizia, o se volete una giustezza, una giusta misura nel rapporto tra homo e natura.

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Il pianeta Kepler 452 B

Partecipa di questa giusta misura il fatto che appare probabile l’esistenza di forme di vita anche in altri luoghi dell’Universo. Chi ha fatto i conti, stima questa probabilià assai vicina all’unità, cioè alla certezza in senso statistico. Aggiungendo subito che la probabilità di vincere il primo premio della lotteria di capodanno con, per esempio, 50 milioni di biglietti venduti a 50 milioni di persone, è per ognuno pari a 1/50 milioni, cioè molto bassa, eppure un vincitore c’è sempre. Nel nostro caso i numeri sono molto maggiori, circa cento miliardi di stelle solo nella Via Lattea (anche il numero dei nostri neuroni è all’incirca uguale e cento miliardi sono gli umani vissuti finora). Non tutte le stelle hanno però sistemi simili al nostro sistema solare con pianeti tipo terra. Alcune sono troppo vecchie, altre troppo calde, o troppo grandi o troppo piccole. Lo stesso vale per i pianeti.

Fatta quindi la scrematura, rimangono oltre 10‐15 miliardi di Soli che in via teorica sono candidati possibili per un sistema planetario orbitante all’incirca come il nostro. Finora i ricercatori hanno classificato oltre 2000 pianeti che potrebbero essere adatti, di cui un centinaio con caratteristiche abbastanza buone.

Questo significa che vivono nella cosidetta “zona abitabile”, quell’area spaziotemporale dove alcuni parametri, per esempio la temperatura, sono congruenti con la possibile presenza di acqua. Kepler 452 B è il primo in classifica, il più simile alla nostra terra per temperatura, massa, materia, periodo di rotazione attorno al suo Sole (380 giorni), forse con attività vulcanica (senza questa e i terremoti non ci sarebbe vita sulla terra), energia ricevuta. Invece a oggi nulla sappiamo della sua atmosfera. Dal punto di vista scientifico per ora l’aspetto più interessante è la possibilità che Kepler 452 B ci offre di studiare la storia evolutiva di un corpo celeste, per così dire quasi terrestre. Insomma attraverso il pianeta tanto distante nello spaziotempo – 1400 anni luce, ovvero oggi vediamo quel che accadde 1400 anni fa – e tanto vicino per quanto attiene la sua (geo)fisica, possiamo capire molte cose della nostra terra e di noi stessi. Non stupisce quindi che tanto entusiasmo e maraviglia abbia suscitato. Nè è la prima volta per una scoperta astronomica. Altrettanta maraviglia, e molto scandalo, destò l’osservazione delle cosidette stelle medicee, quattro corpi celesti ruotanti attorno a Giove, che Galileo vide e studiò tramite il telescopio, strumento ottico di recentissima invenzione e costruzione. Così gli balzò agli occhi una sorta di sistema solare in miniatura che contribuì non poco, con la sua plastica evidenza, all’affermazione del sistema copernicano tra le genti, nonchè alla condanna di Galileo stesso da parte della Chiesa.

Se le terre fossero due

Per quanto lontano, Kepler 452 B ci fa sentire meno soli. Più precisamente se esse est percipi – essere è essere percepito ‐ come insegna Berkeley, la percezione della sua esistenza è destinata a modificare il nostro essere. Pensiamo a quanto oggi influisce sulla vita quotidiana di miliardi di persone il mondo virtuale del web, diventato un vero e proprio universo, per altro in buona parte sconosciuto nelle sue dinamiche evolutive. Con la capacità di rappresentare il mondo attraverso segni e simboli arriva anche la capacità di cambiarlo, preservando la sua natura più intima e fondante, il suo DNA. Il che significa cambiare il mondo attraverso una metamorfosi e non una distruzione. Se le terre fossero due fors’anche potrebbero contribuire a produrre una torsione della nostra storia evolutiva dalla disperazione all’amicizia, ripristinando l’antico significato di Cosmos, cioè l’armonia, nel senso di sentire la Natura non più matrigna e/o reservoir di energia e ricchezze da sfruttare fino a prosciugarla, ma madre e/o amica accogliente. Coscienti che attraverso le grandi scoperte scientifiche, anche la Natura impara a conoscersi.

I critici critici

C’è chi suppone o teme una manipolazione pubblicitario propagandistica della NASA. Certamente uno degli enti colla maggior concentrazione d’intelligenza del pianeta, e luogo di ricerche a ampio spettro, dal cambiamento climatico alla vita nello spazio. D’altra parte se il dubbio è fondamento di ogni ricerca, non si può altro che essere contenti se l’immaginario collettivo si nutre tra le tante cose anche dell’ipotesi e speranza di incontrare, seppure da lontano, altre forme di vita nel Cosmo.

E già Freeman Dyson, uno dei più intelligenti scienziati del ‘900, lavorò all’ipotesi che la vita sulla terra venisse dallo spazio, quando ancora nè la NASA nè altri avevano i mezzi e/o la volontà di cimentarsi con questo orizzonte degli eventi possibili.

Nè ciò va a scapito di una cultura del limite che comunque deve cominciare a essere nostro pane quotidiano, nonostante la propensione espansiva fin qui manifestata dalla specie homo. Cultura del limite che non può essere povertà sociale e conoscitiva, e neppure riduzione delle capacità inventive e fantastiche della nostra mente.

In fine

Ho purtroppo trascurato la maestria dei metodi e tecnologie che hanno permesso di ottenere i dati che accennavo sulle caratteristiche di Kepler 452 B, un oggetto, giova ripeterlo, relativamente piccolo lontano 1400 anni luce circa. In parte questo è dovuto a ragioni di spazio, in parte a una sorta di timidezza nelle spiegazioni più specificamente tecnico scientifiche. Però sono consapevole che è un po’ come se avessi parlato di quanto è bello l’amore, senza mai entrare nel merito di come si fa l’amore. Il che comporta sempre il rischio di cadere nella retorica.