Le tartarughe tornano sempre

Nel suo ultimo romanzo l’autore Enzo Napolillo reagisce alla sorda frustrazione per l’ignoranza e la paura che circondano i migranti.

di Chiara Catenazzi

Sabato 25 luglio, in occasione del penultimo evento di LetterAltura Off, Enzo Gianmaria Napolillo ha presentato il suo ultimo romanzo, Le Tartarughe tornano sempre. In questa occasione abbiamo avuto il piacere di poterlo intervistare. Durante l’incontro l’autore ha raccontato al pubblico del suo libro, dialogando con Karim Fael di LetterAltura e con la direttrice del Consorzio dei Servizi Sociali della provincia di Verbania, Chiara
Fornara. Una particolare riflessione è stata dedicata al tema delle migrazioni e dell’accoglienza. Il pensiero è andato al ventenne della Guinea Bissau ospite del Gruppo Abele, recentemente scomparso per un tuffo nel lago. La fatalità che lo ha coinvolto è stata dolorosa per la città Verbania, ma allo stesso tempo ha dato luogo, specialmente attraverso i social network, a una serie furiosa di commenti superficiali e vuoti da parte di alcuni che credono si possa sfruttare la morte di un giovane per condurre un’ottusa strumentalizzazione di paure comuni. Proprio perché bisogna conoscere le cosa che si teme, come hanno ricordato i relatori dell’incontro, servono spazio e tempo per parlare: questa ne è stata l’occasione.

Il tema dell’immigrazione è fondamentale ed è lo sfondo delle vicende raccontate in Le tartarughe tornano sempre, ma non è l’unico discorso racchiuso in questa storia, la storia di Salvatore e Giulia.

I due giovani protagonisti si conoscono da bambini sull’isola, la loro isola, dove lui è nato e ha sempre vissuto e dove lei, figlia di un isolano emigrato a Milano per realizzare una carriera da architetto, torna tutti gli anni per le vacanze.

Nel raccontare il percorso di crescita dei due giovani protagonisti questo romanzo si lega con Remo contro, prima opera di Napolillo, spesso definita come un romanzo di formazione. Si tratta però di storie molto diverse come specifica lui stesso «in particolare Salvatore e Remo (protagonista di Remo Contro) si assomigliano nella voglia che hanno di cambiare le loro vite e di dare un senso alla propria esistenza. Remo però è più grande e vive una vita già indirizzata ed inquadrata, quindi si ribella alla routine imposta dalle otto ore di lavoro, mentre Salvatore all’inizio è un ragazzino che
studia, figlio di un pescatore, felice della sua vita spensierata. Le domande per lui arrivano dopo, quando acquisisce una nuova consapevolezza attraverso il fatto tragico al quale assiste con Giulia: il ritrovamento di un suo coetaneo morto cercando di raggiungere la sua isola da oltremare, e poi tutti gli altri che seguiranno. Questo è il momento in cui diventa sensibile alla condizione umana, in cui fa il suo ingresso nella vita adulta».

E’ proprio l’esperienza della morte che rende Salvatore consapevole. Una tragedia personale, l’improvvisa scomparsa della madre, che accorcia le distanze tra il ragazzo e i migranti: nella disperazione si è tutti naufraghi.

Sull’isola la storia dei personaggi si intreccia con la Storia: è il luogo che sta nel mezzo degli spostamenti tra il meridione e Milano con le sue periferie, ma anche tra tutto ciò che c’è oltre il mare e l’Italia. L’autore, come ci racconta, ha voluto dipingere questo luogo, che diventa a sua volta protagonista del racconto, come «un luogo ideale e simbolico», ha deciso di non dargli mai un nome, ma piuttosto di descrivere spiagge e calette, il mare e la vita degli abitanti dell’isola che si immaginava, verosimilmente Lampedusa. Infatti come ci ha detto «prima della stesura iniziale del libro non ero mai stato in quei posti, quando poi ci sono andato ho aggiunto degli elementi reali, pur
lasciando l’isola come un luogo immaginato». Cosi quella terra da una parte è teatro dell’incontro, delle partenze e dei ritorni che segneranno le vite dei due protagonisti: il destino di Salvatore e Giulia rimane legato da un filo che si accorcia e si allunga, da lettere rosa e da sentimenti che vincono la distanza, ma i due ragazzi diventando grandi si rendono conto di come la vita sia infinite scelte, infinite separazioni. Dall’atra parte l’isola è crocevia dell’emigrazione degli isolani che partono verso il nord Italia, in cerca di lavoro e di opportunità per il futuro e dell’immigrazione delle
persone che scappano da un altro continente in cerca di salvezza dalla guerra, dalla fame, dalla povertà. L’incontro con queste realtà rende consapevoli i due protagonisti del fatto che si tratti di persone «che hanno la necessità di cercare la libertà, quella che loro hanno e che prima di quell’incontro davano per scontata: poter girare per strada liberi, studiare, sognare un futuro» come ricorda l’autore.

E’ lo stesso motivo che rende solidali gli isolani, che pur avendo altri problemi,
come la distanza e l’indifferenza dello Stato, ed essendo i primi ad essere toccati dagli effetti degli sbarchi, non si comportano come molti che sono lontani da ciò che accade eppure predicano teorie xenofobe.

Contro lo sguardo da lontano, filtrato dai telegiornali che parlano con freddezza di numeri, ha scelto di lottare l’autore scrivendo Le tartarughe tornano sempre. Come ci ha raccontato «la mia indignazione non aveva nessun tipo di sfogo, non aveva un’utilità. Raccontare questa storia è statoun modo per accorciare le distanze». E’ infatti questo che crea lo straniero, la distanza, ciò che nonsi conosce. Come ha detto Napolillo, lo straniero può non esistere perché «è generato dallamancanza di confronto e dall’ignoranza», la diversità può essere un valore se c’è dialogo.

Forse non sempre, ma il viaggio può essere circolare: a volte si ritorna, come suggerisce il titolo stesso del romanzo, ed anche il tema del festival LetterAltura di quest’anno. Ha raccontato Enzo Napolillo «se quello di Remo in Remo contro era una sconfitta, quello di Salvatore è un desiderio di ritrovare le proprie radici, una scelta consapevole dopo essere andato lontano e aver incontrato la nostalgia per la sua terra e il suo mare. E’ un ritorno in senso positivo che sento molto più mio, proprio perché sono una persona che non ha radici avendo vissuto in un luogo che non mi è mai piaciuto. Questo oltre all’insoddisfazione mi ha dato la carica per raccontare di altri luoghi,
cercando di fuggire. Tutto ciò mi fa sentire molto vicino a chi le radici le ha ben forti».

Come le tartarughe, che dopo vent’anni tornano nel luogo dove sono nate, Salvatore e Giulia ritornano all’isola, in questo si intravede una speranza per il loro amore, o almeno per la loro felicità. Forse questo è un augurio per chi fugge dal proprio paese oggi, perché possa tornarci un giorno quando sarà in pace, ma anche un appello alla politica perché sia più umana, come ne è un segno la scelta dell’autore di chiudere il libro con la storica sentenza del 12 febbraio 2012 sui respingimenti in mare verso la Libia, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro paese.