Palestina. Gaza e l’industria israeliana della violenza

Gli episodi di cronaca in Cisgiordania, l’anno di commemorazione di Margine protettivo, la tensione che s’innalza, come ogni estate. Un libro prova a ripercorrere il ruolo geopolitico di Gaza e delle sue inumane condizioni in cui vive.

Il 31 luglio alcuni coloni israeliani hanno lanciato bombe incendiarie nella casa di una famiglia palestinese, vicino Nablus, in Cisgiordania. Tra le vittime di quello che persino il governo di Bibi Netanyahu ha definito un attacco terroristico c’è stato anche un bambino di 18 mesi. Hamas ha risposto inneggiando alla Giornata della collera in tutti i territori dove è presente. Un episodio che esemplifica il livello di tensione innalzatosi molto in questi ultime settimane tra Israele e Palestina. Solo un anno fa, l’8 luglio, cominciava a Gaza l’operazione Margine protettivo, l’ultima delle sanguinosissime offensive israeliane nella striscia. Amnesty International giusto il 28 luglio accusava Tel Aviv in un report di aver compiuto crimini di guerra durante l’incursione di terra. Sembra che quel lembo di terra sia destinato ad essere una prigione a cielo aperto, stretta dall’embargo e dalla continua minaccia di un’offensiva. Osservatorio Iraq, prima di congedarsi per le vacanze, consiglia ai suoi lettori un libro che cerca di spiegare le assurdità delle condizioni in cui versa Gaza. Un consiglio che facciamo nostro e riproponiamo anche a voi. Buona lettura.

Tratto da Osservatorio Iraq

“Gaza è diventata la vetrina dell’industria bellica israeliana. I gazawi si sono trasformati da obiettivi militari a cavie da laboratorio per testare tecnologie militari d’avanguardia che garantiscono massicci profitti all’industria israeliana della violenza. Ma nell’inversione di termini dominante guerra è pace. E Palestina diventa Israele”. Un contributo e un estratto dal libro “Gaza e l’industria israeliana della violenza”.

Perché questo libro

La Striscia di Gaza, da quasi un secolo, è un luogo di sofferenza e di resistenza. Rappresenta ormai il paradigma dell’industria della violenza contemporanea.

Dopo il macabro spettacolo di morte e distruzione su larga scala messo in scena durante l’Operazione “Margine Protettivo” nell’estate 2014, abbiamo sentito l’esigenza di ripercorrere gli eventi fondamentali che nell’ultimo ventennio, a partire dagli Accordi di Oslo, hanno trasformato Gaza nel più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo.

Abbiamo cercato di sfatare i principali miti fondativi di Israele e di decostruire il doppio linguaggio sionista, di orwelliana memoria, per cui supremazia razziale è democrazia; repressione, sicurezza; resistenza, terrorismo; colonizzazione della Palestina storica, processo di pace; normalizzazione dell’oppressione, coesistenza.

Guerra è pace. E Palestina, alla fine, diventa Israele

Introduciamo il colonialismo di insediamento come paradigma interpretativo fondamentale per capire la vocazione genocidaria del sionismo e il carattere bellicista e razzista dello Stato israeliano. Questo ci consente di identificare le tre principali pratiche messe in campo dal potere coloniale nei confronti del nativo: l’espulsione, l’eliminazione e la segregazione.

La violenza contro i palestinesi è un continuum che oscilla tra un minimo quotidiano, a bassa intensità, con i suoi morti, i suoi feriti e le sue distruzioni, completamente trascurato dai media, alle punte delle operazioni militari con il loro risvolto voyeuristico di fronte allo spettacolo del dolore.

La Striscia di Gaza rappresenta lo stadio più avanzato di un processo di concentramento e segregazione dei palestinesi applicato in fasi diverse e con modalità differenti anche in Cisgiordania e in Israele. Per questo possiamo parlare di un vero e proprio “paradigma concentrazionario”.

Gaza incarna in maniera compiuta la formula sionista della “massima quantità di territori con una minima presenza di arabi”, o meglio, dal momento che l’espulsione e lo sterminio di massa non sono ancora opzioni praticabili, la formula si declina anche come “massimo controllo sulla terra con la minima responsabilità sulla popolazione”.

Gaza diventa perciò un luogo in cui vengono radicalmente alterate le condizioni della vita umana (tramite le politiche di de-development, l’amministrazione burocratica della sopravvivenza, la politica della dipendenza e l’industria degli aiuti) allo scopo di ridurre l’internato allo stato di “nuda vita” di fronte al potere sovrano.

Gaza è diventata la vetrina dell’industria bellica israeliana. I gazawi si sono trasformati da obiettivi militari a cavie da laboratorio per testare e perfezionare dottrine e tecnologie militari d’avanguardia che garantiscono massicci profitti all’industria israeliana della violenza.

Israele riveste perciò un ruolo di primo piano a livello mondiale nella progettazione e sperimentazione di armi, tecnologie di sorveglianza e modalità di controllo che vengono successivamente commercializzate nel resto del mondo. L’esperienza acquisita nell’oppressione dei palestinesi fa di Israele il capofila di un’industria globale della violenza di cui si avvalgono eserciti e polizie in tutto il mondo per reprimere popoli in lotta, gruppi indigeni espropriati, migranti, attivisti dei diritti umani, sociali e ambientali.

Gaza anticipa la società distopica del futuro, quando le elite mondiali saranno sempre più costrette a ricorrere alla guerra permanente e al controllo totale per far fronte alle disuguaglianze sociali e alle devastazioni ambientali frutto delle politiche neoliberiste.

Il campo di concentramento di Gaza rappresenta pertanto un modello di dominazione testato sui palestinesi e poi importato, replicato e adattato dagli apparati coercitivi degli stati per la «pacificazione» sociale.

Ecco perché Gaza ci interessa.