di Valeria Nicoletti
All’ombra dei circa 300 chilometri di costa, lontano dalle scogliere adriatiche, dal golfo di Gallipoli, il Salento nasconde un entroterra silente, lentamente scoperto da quei viaggiatori che s’addentrano oltre la litoranea, ancora nascosto eppur cantato, descritto, immaginato da scrittori, musicanti, registi, che hanno fatto delle terre dell’Arneo, della Grecìa Salentina, del Capo di Leuca, di tutto quello che si nasconde dietro il mare turchese e le dune di sabbia una terra fantastica, di racconti, storie, note nuove, un immaginario inedito e tuttavia esistito da sempre, che rifugge naturalmente il folklore, il pittoresco e dove anche lo Ionio e l’Adriatico appaiono lontani, come un miraggio dietro la terra rossa.
Qui, qualche consiglio, suggestione, dritta, per ripensare il Salento insieme a chi lo vive ogni giorno dell’anno, in maniera destagionalizzata, quando gli ombrelloni si chiudono, il litorale diventa una malinconica periferia, tutto rallenta, gli angeli barocchi di Lecce soffrono di solitudine e lo scirocco sospira da solo.
Nel Salento in ferrovia
«Non ho il senso dell’etnia, solo quello della ferrovia», canta Mino De Santis, cantore salentino. E sembra quasi inevitabile per chi nasce in coordinate spazio-temporali estreme, a una manciata di chilometri da “finibus terrae”, il Capo di Leuca. Uscito nel 2003, il documentario Italian Sud-Est, realizzato da Fluid Video Crew, racconta il Salento visto da una locomotiva, lungo i binari delle ferrovie Sud-Est, un viaggio delirante, onirico, alla scoperta di venti personaggi fuori dall’ordinario che popolano i caselli, le case cantoniere, lavorano tra i vagoni, animano le stazioni o ci girano intorno.
Tre giorni, dal Nord al Sud del Salento, dall’eremo di Vincent, a Guagnano, fino a Tricase, da Alessano a Nardò a San Pancrazio Salentino, al ritmo delle vecchie littorine blu e rosse, una pellicola visionaria, dove il treno non è solo un modo per muoversi ma quasi una filosofia di vita, soprattutto qui, a Lecce e dintorni, capolinea, ultima fermata, punto inevitabile d’arrivo e di ripartenze.
La Malapianta
Rina Durante, intellettuale, scrittrice, giornalista, letterata ma soprattutto militante culturale salentina, scrisse La Malapianta nel 1964, edito da Rizzoli. Narratrice di margini, come l’ha definita Alessandro Leogrande, Rina Durante si occupava da sempre della condizione bracciantile, del Sud agricolo, arso dal sole e dalla terra rossa, con una tensione originale e allergica alla retorica che fa del suo romanzo «un libro che va alle radici di una terra, che è proprio la nostra, e anche se di quel mondo viviamo solo gli echi è qui che si ritrova il senso di quello che siamo, o cerchiamo di essere». Introvabile fino a qualche anno fa, se non in poche fortunate librerie dell’usato o in qualche biblioteca locale, è stato ristampato lo scorso anno dalla casa editrici Zane, per farlo tornare nelle librerie di chi nel Salento è nato, ma il Salento agricolo, quello vero, quello dove la terra più che un tesoro era una condanna, non l’ha mai conosciuto.
«E questo doveva essere un dimenticare d’essere nato e farla finita e annegare. Invece ci si risveglia più vivi che mai e questa cosa che vorresti distruggere ti balza fuori dalle viscere, ti si butta contro e ti divora. Perché sono incatenato dalla morte, ma per raggiungerla non c’è che da percorrere questa strada maledetta che vorresti scavalcare con un solo balzo, magari mettendoci tutta la forza che ti rimane. E invece te ne rimane sempre dell’altra, sempre dell’altra e tu ci riprovi e te ne avanza sempre. Vuol dire che si deve arrivare sino in fondo, in un modo o nell’altro».
La Grecìa Salentina
Amata e difesa da Rina Durante, la cultura grika è quella che ancora si nasconde in qualche anfratto della piccola enclave di comuni, nel cuore della penisola, conosciuti con il nome di Grecìa Salentina, isola ellenofona al centro del Salento. Qui, riposta in qualche raffinato vocabolario, infiltrata nel dialetto locale, modulata nelle canzoni popolari, la lingua grika risuona ancora a Calimera e dintorni. Qui, oltre a essere indecisi se godersi lo Ionio o avventurarsi sull’Adriatico, gli indigeni sono circondati da un paesaggio singolare, fatto di dolmen e menhir e di curiose men-an-tol, le pietre col buco, che, secondo la tradizione, donerebbero fortuna e fertilità. In griko, la parola Ghetonìa significa “vicinato” ed è il nome dell’associazione culturale che si prende cura delle tradizioni grike, ma anche il gruppo musicale che dal 1992 preserva la musica grika accompagnandola a percussioni, melodie jazz, il suono vellutato degli ottoni e il timbro tonante della voce di Roberto Licci (piccola curiosità, Roberto e il fratello Emanuele sono presenti anche in “Italian Sud-Est”). Perché di sola pizzica non si vive.
ViaVai Project
ViaVai, come luogo affollato, di transito, dove è impossibile sostare se non per brevi soggiorni. Quello che diventa il Salento, soprattutto in estate, dove il ritmo degli arrivi e delle partenze dei viaggiatori condiziona il resto della penisola e soprattutto il paesaggio, vissuto, attraversato e spesso, purtroppo, modificato a immagine e somiglianza dei flussi turistici. ViaVai è anche il nome del progetto di un manipolo di street artist salentini, a cura dell’associazione WOW, che del paesaggio intende fare una tela, integrare l’arte, i colori, l’immaginazione ai ruderi abbandonati nelle campagne, ai caseggiati anonimi delle periferie, alle architetture neglette, la creazione di una galleria a cielo aperto di disegni, immagini, suggestioni, attraverso uno studio dettagliato sul paesaggio abbandonato salentino. Come raccontano i ragazzi dell’associazione, “Via è sinonimo di strada ma anche l’anagramma di Vai, quindi l’inizio di un percorso”. Da quest’anno, ViaVai debutta in collaborazione con i surfisti locali, per un tour non convenzionale nel Salento, tra il surf e l’arte di strada.
Il Laboratorio
Lo trovate a Palazzo Ferrari, a Parabita, nel Basso Salento, intento a catalogare gli oltre 30.000 volumi della biblioteca che ha costruito negli anni, a organizzare conferenze sulle piccole meraviglie nascoste di Parabita o semplicemente a dare consiglio ai “rari nantes”, come diceva Virgilio, “rari naufraghi”, che spesso gli chiedono udienza. È Aldo D’Antico, memoria storica del Basso Salento, un “fottuto parabitano”, come ama definirsi lui che ha fatto tutto per la sua cittadina d’origine, pur detestando, più d’ogni altra cosa, i campanili.
È cresciuta intorno a lui, intellettuale, scrittore e professore, e al suo folto nugolo di collaboratori, la casa editrice Il Laboratorio, una piccola realtà editoriale nata per aiutare i giovani autori salentini al debutto letterario, ma anche per riscoprire libri dimenticati, come I trofei della città di Guisnes, meraviglioso poema in prosa di Antonio Verri, o ancora i versi del poeta cileno Martin Andrade, che fuggì dal golpe di Pinochet e trovò rifugio nel Salento, proprio a casa di Aldo D’Antico. Oggi Il Laboratorio continua il suo lavoro, aggiungendo alla sua collana di classici anche nuovi formati editoriali, come RariNantes, il giornale dei ragazzi, saggi, romanzi, poesie, storie di arrivi e di partenze e anche piccole biografie in formato tascabile. Ultima, la storia di Renato Leopizzi, eroe antifascista parabitano.
Pocca!
Per chi non avesse familiarità con l’idioma locale, «Pocca!» è un’interiezione tipicamente salentina, un’esclamazione di consenso entusiasta, un rafforzativo che garantisce sicurezza, coinvolgimento, un elemento aggiunto. «Pocca!» è anche l’ultimo lavoro degli Uro, trio strumentale che, per l’occasione, ha reintegrato nella line-up due ex componenti, Alberto Scarpello e Michele Leucci, i .corridoiokraut, duo elettronico-droneggiante, psichedelico, visionario quasi. L’album ha cinque tracce, fuse in un unico magma sonoro che passa dalle sfuriate più rock a intermezzi più rarefatti, atmosfere quasi spaziali, con voci fuoricampo e paesaggi musicali onirici. Come dicono i ragazzi di The Breakfast Jumpers, consigliato se la vostra giornata ha bisogno di una svolta. E qui, se durante la controra non siete a mare, una svolta è necessaria.
L’album è disponibile per lo streaming qui sotto tramite Bandcamp (qui invece in download)