Automazione e disoccupazione

Tecnologia amica o nemica del lavoro, o per meglio dire del reddito?

di Angelo Miotto

La notizia è delle ore scorse: il presidente Usa Barack Obama ha varato un aumento dei minimi salariali che in alcuni casi porterà al raddoppio della paga nel 2018. Ma le grandi catene di ristorazione, che sono quelle maggiormente interessate, ricorrono alle nuove frontiere dell’automazione. Che significherà disoccupazione.

Non si scappa. I conti devono tornare: se è vero che il provvedimento della Casa Bianca nelle previsioni dovrebbe far emergere da una situazione di crisi 140mila persone, è altrettanto vero che in un periodo di espansione poco significativa del mercato globale la risposta dell’automazione che stanno scegliendo in diverse città le grandi catene di ristorazione porterà a dei tagli. È il Washington Post ad avvertire che nel settore il 30 percento dei costi è legato proprio alla forza lavoro. Sono 2,4 milioni di camerieri, quasi 3 milioni di cuochi e ben 3,3 milioni di cassieri. Immaginiamo in tre anni per loro un raddoppio del salario minimo. E siamo contenti che avvenga, ma nello stesso tempo sappiamo anche che la risposta non si farà attendere.

Nuovi forni computerizzati per evitare anche il minimo spreco sulla grammatura per esempio degli hamburger e altri prodotti, menù elettrici, il sistema Ziosk, che permette di pagare il conto con un tablet che introduce anche l’intrattenimento per i clienti.

L’automazione fa passi da gigante e la robotica non fa che annunciare sempre nuove scoperte, anche se molti si ostinano a dire che la mente umana e determinate nostre peculiarità saranno sempre indispensabili.

Nel mentre attraverso un sistema di algoritmi si falcidiano le redazioni, con la creazione di news ‘programmate’, così come l’algoritmo della finanza elettronica si avvale di programmatori e studiosi, ma lavora in frazioni di secondo senza necessità di intervento umano.

Detrattori e fan accaniti delle nuove frontiere della tecnologia applicata al lavoro, questi ultimi sempre pronti a dire che per un lavoro che salterà la stessa tecnologia garantirà altri posti di lavoro. Non c’è evidentemente solo una questione di essere abili e capaci ad utilizzare le nuove tecnologie, quindi un problema di formazione, ma anche un rapporto di forza che potremmo riassumere con alcuni concetti e numeri che il professor Luciano Gallino, sociologo e grande studioso del mondo del lavoro, riassumeva così in un articolo intervista del 1999: “La tecnologia è essenzialmente un mezzo per fare due cose diverse. Da un lato si può cercare di produrre di più, anche molto di più, utilizzando la stessa quantità di forze di lavoro. D’altra parte, si può cercare di utilizzare le potenzialità della tecnologia per ridurre le forze di lavoro impiegate per produrre un determinato volume di beni o di servizi. E di qui viene fuori un’equazione molto semplice: fintanto che si riesce ad aumentare la produzione, il che vuol dire fintanto che si riescono ad allargare i mercati, la tecnologia non produce disoccupazione, perché la forza lavoro rimane costante e quello che si allarga sono i volumi di produzione, sono i mercati. I mercati, però, diversi tra di loro, variati come sono, non possono in generale espandersi all’infinito. Quando i mercati non possono più espandersi, la tecnologia viene impiegata prevalentemente per ridurre le forze di lavoro e incomincia a profilarsi lo spettro della disoccupazione tecnologica”.

L’intervista di Gallino è profetica, siamo nel 1999 e l’indicazione che viene data, la seconda parte della sua considerazione, è il nostro presente. Anche se i numeri di ripresa Usa sono ben altra cosa rispetto alla depressa Europa, ma l’espansione dei mercati è cosa finita non fosse altro per il fatto che quella espansione sta e forse ha ucciso il nostro pianeta Terra.
Automazione, quindi, e taglio di lavoratori. Disoccupazione tecnologica.

Ma vediamo un altro concetto chiave di quell’intervista. L’automazione produce automazione e per un ‘umano’ è praticamente impossibili ritorvare un inserimento laddove vi sia un processo di automazione a catena.

Affermava Luciano Gallino: “I posti che la tecnologia creava nuovamente dopo averne soppressi una certa quantità erano recuperati in parte dall’allargamento d ei mercati ma in parte anche producendo mezzi tecnologici, cioè producendo le stesse macchine produttrici di beni e servizi che i mercati fino ad un certo punto assorbivano. Con l’automazione applicata a se stessa, le macchine producono altre macchine per fare l’automazione, il processo di automazione raggiunge livelli altissimi e quindi non c’è più nessuna speranza o perlomeno si riducono di molto le speranze di trovare prima o poi un nuovo posto di lavoro nei settori che producono la tecnologia che ha eliminato il posto originario, il posto di partenza”.

Ci sono ovviamente ambiti di penetrazione che sono maggiormente colpiti. Quello militare, di cui poco ci importa se non per segnalare che si va verso la robotizzazione anche delle tecniche che spesso precedono, per fondi stanziati, quelle di uso civile.
Ma lasciando i generali e le mostrine, le forme di intelligenza artificiale associate ad algoritmi e robotica colpiranno molte professioni ‘intellettuali’, ma proprio queste saranno quelle che risentiranno in ogni caso meno di quelle che prevedono un sapere artigiano e una manovalanza tecnica. Gli studi per quanto riguarda gli Usa, per esempio indicano come mestieri a rischio il macellaio, segretarie, addetti a sportelli di banca o posta, commesso, cassiera, tipografo, farmacista, mentre danno come lavori in sempre migliore salute analisti software, programmatori, analisti desktop, amministratori di rete, badanti e infermieri (questi ultimi stridono con i precedenti, ma la loro presenza è comprensibile).

Un rapporto di forza che non può che generare domande, che cercheremo di affrontare in questo che è un dibattito tremendamente affascinante.

È un processo inarrestabile? Quali forme di conflitto si verranno a creare dentro questa che non è una tendenza, ma una realtà conclamata? Che tipo di mediazione politica sarà necessaria per salvaguardare il lavoro o per meglio dire il reddito, anche con meno lavoro grazie all’automazione?