di Christian Elia
Il 20 settembre prossimo sono state fissate le elezioni legislative anticipate in Grecia. Il premier uscente Alexis Tsipras, che si è dimesso in favore di un governo tecnico, chiede un nuovo mandato (dopo le elezioni di gennaio 2015) per rinvigorire una compagine di governo che ha visto il suo partito Syriza entrare in crisi durante un’estate turbolenta. Per un quadro della situazione, Q Code Mag ha intervistato Dimitri Deliolanes.
Giornalista, per anni corrispondente in Italia per il canale televisivo greco Ert, vive a Roma. Il suo ultimo libro è La sfida di Atene. Alexis Tsipras contro l’Europa dell’austerità (Fandango libri 2015), autore tra gli altri anche del libro Alba Dorata – La Grecia nazista minaccia l’Europa (Fandango libri 2013), che resta un testo chiave per capire la nascita e l’ascesa della formazione xenofoba ellenica.
La Grecia tornerà alle urne il 20 settembre prossimo. Al di là della valutazione politica della scelta di Tsipras, quale scenario ti aspetti dalle elezioni?
Personalmente mi aspetto un rafforzamento del governo Tsipras, in modo che possa portare avanti il suo progetto di sfruttare gli ampi spazi lasciati dal pessimo accordo con i creditori in modo da distribuire in modo più equo il peso della nuova ondata di austerità e magari anche mettere le basi per una possibile ripresa.
Syriza continua a perdere i pezzi, quali potenzialità vedi nella formazione di Lafazanis?
Lafazanis rappresenta il vecchio Syriza, la coalizione di sinistra che stava comodamente all’opposizione, difendendo la sua purezza ideologica. Egli rappresenta una parte consistente del partito: al congresso del 2013 aveva il 40% dei delegati. Ma è praticamente inesistente tra l’elettorato più ampio di Tsipras. Syriza ha preso a gennaio 2 milioni 200 mila voti ma ha continuato ad avere solo 30 mila militanti. Eccola qua la differenza. In queste elezioni Tsipras punta su un elettorato più vasto, che vuole continuare a stare nell’eurozona, che è sicuramente deluso del pessimo accordo imposto dai creditori ma riconosce e apprezza la dura trattativa condotta dal premier, da solo e per la prima volta a livello europeo. Lafazanis punta ai delusi, a quelli che vedono la soluzione nell’uscita dall’eurozona. Una piccola porzione dell’elettorato.
Mentre tutti i riflettori sono puntati sulle vicende politiche, si parla sempre meno della situazione socio economica del paese. Quali sono le condizioni generali in questo momento? Il dibattito sulle misure da attuare continua, ma quali sono stati i cambiamenti (se ce ne sono stati) durante il governo Tsipras?
Anche se è durato solo pochi mesi, il governo Tsipras è riuscito a fare qualcosa per affrontare la grave crisi umanitaria del paese. Il primo provvedimento preso dal governo, già a febbraio, riguardava le misure di emergenza per quelle 250mila famiglie senza reddito. Poi ha dato la possibilità a chi aveva debiti verso il fisco e le casse di assistenza (cioè a tutti) di rateizzare in condizioni molto favorevoli. Ovviamente, questo non ha risolto il problema della grave condizione in cui si trova il popolo greco. Rimangono quei milioni di disoccupati, quei milioni di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà. Su questo Tsipras spera di avere la possibilità di intervenire.
Si vota anche, nel giro di pochi mesi, in Spagna e Portogallo. Credi che Tsipras, riuscisse a farsi rieleggere, potrebbe avere una spazio di manovra più ampio in Europa se Podemos si affermasse in Spagna e se emergesse qualche novità a Lisbona?
Sicuramente. Ma già ora il duro scontro che Atene ha condotto con i creditori ha cominciato a cambiare radicalmente i rapporti di forza all’interno dell’eurozona. La destra estremista liberista tedesca, rappresentata da Schauble, ha dovuto gettare la maschera e ha trattato la Grecia come fosse una provincia ribelle. Il governo tedesco si è assunto la responsabilità di mettere per la prima volta per iscritto in un comunicato dell’eurogruppo che era possibile l’espulsione di un paese dall’eurozona. Tutti i principi su cui è stata costruita l’Unione Europea- la pari dignità tra stati membri, le decisioni basate sul consenso, l’irreversibilità dall’eurozona- sono crollati. Questo ha provocato reazioni importanti tra i governi europei, in Francia, in Italia, in Austria, in Irlanda, nella stessa Spagna. Si è capito che se le cose non cambiano, l’Europa è finita, si vedrà trasformare in uno spazio imperiale tedesco. Quindi ben vengano i Podemos ma anche se loro non ce la faranno, ci penserà da destra la Le Pen oppure sarà il referendum britannico a rappresentare la ribellione degli europei a questa situazione insostenibile. C’è un dibattito importante perfino dentro la stessa Germania.
Credi che Alba Dorata possa in qualche modo avvantaggiarsi dalle divisioni interne di Syriza? Come sta gestendo questo periodo la formazione neonazista?
Sicuramente le difficoltà del governo uscente avvantaggiano in qualche misura questa formazione nazista. Ma il grosso problema di Alba Dorata è che tutto il suo gruppo dirigente è sotto processo. Le accuse non sono politiche: è la legge italiana sull’associazione a delinquere di stampo mafioso tradotta in greco togliendo la parte mafiosa. Quindi sono accusati di essere una banda di delinquenti comuni. Questo ha fatto in modo che alle elezioni di gennaio il gruppo nazista avesse anche una piccola flessione. Ho letto l’atto di accusa ed è solido. Il processo procede lentamente, ma spero che finisca con una severa condanna.
Per anni Alba Dorata ha utilizzato i migranti come bersaglio sul quale scagliare la rabbia popolare, come si pone nello spazio pubblico adesso che se ne parla in tutta Europa? Credi che il governo Tsipras si sia mosso nella direzione giusta sul tema profughi?
In Grecia i miei colleghi dicono che in alcune isole dell’Egeo, maggiormente colpite dai flussi migratori, Alba Dorata avrà forse un certo aumento. Non lo so. I nazisti hanno accusato il governo di aver in sostanza invitato i profughi a venire in Grecia seguendo una politica di frontiere aperte. Ma le dimensioni europee del fenomeno smentiscono facilmente queste affermazioni, peraltro fatte proprie anche dalla destra parlamentare di Nuova Democrazia. Rispetto al governo bisogna dire che si è mosso in ritardo e in maniera improvvisata. In pratica, non era preparato e questo non è giustificabile. Bastava una lettura di giornale per capire che avremmo avuto questa grande ondata di povera gente in cerca di rifugio. Tra le cose positive c’è l’approvazione dello jus soli: gli stranieri che nascono in Grecia e che partecipano alla nostra vita politica, sociale e culturale hanno diritto a chiedere la cittadinanza. E’ stata una legge di civiltà, anche se il governo ha sottovalutato il problema che può creare l’impatto di una grossa comunità musulmana in un paese che, come tutti i paesi balcanici, ha definito la sua indentità nazionale proprio in contrasto con l’Islam. Ci voleva maggiore attenzione verso questo problema, proprio per evitare guerre di religione oppure ondate di xenofobia e di razzismo.
Cosa ti aspetti dai leader europei? Ancora una volta tenteranno di orientare il voto in Grecia?
In Grecia tutti sanno che ci sono alcuni partiti che stano a cuore agli europei e tra questi non c’è Syriza. Per il momento non abbiamo assistito allo sconcio delle elezioni di gennaio oppure del 2012, con i leader europei che invitavano apertamente e spudoratamente i greci a votare alcuni partiti e a non votarne altri. Oppure lo spettacolo di alcuni organi di stampa, in Italia ha brillato per il suo fanatismo ideologico il Corriere della Sera, che violavano ogni deontologia scrivendo falsità, e scagliando calunnie contro Syriza. Speriamo bene, sarebbe un bene per tutta l’Europa.
Rispetto al referendum di luglio, sentito e partecipato, non credi che si possa creare un fenomeno di delusione e quindi di astensione dal voto?
Sì, il pericolo c’è, anche se l’astensione non è un comportamento diffuso in Grecia. Il greco è fortemente politicizzato, è difficile che si astenga. Piuttosto vota partiti pittoreschi, come l’Unione di Centro di Leventis. Ma più del referendum, è il brutto accordo che ha provocato delusione. Si sperava in un’Europa diversa, si è visto che non c’è e che bisogna continuare ancora a soffrire. Sta a Tsipras dimostrare che è ancora in grado di lottare, magari non più sul fronte europeo ma su quello interno, attaccando l’oligarchia e i suoi privilegi.