nella Russia contemporanea
di Maria Izzo
Dicembre 1930. Dopo aver viaggiato per molti anni, il poeta Osip Mandel’štam ritornava a Leningrado, dove aveva vissuto a lungo fin dalla sua infanzia, sul finire dell’Ottocento, quando ancora gli Zar dominavano l’impero russo e la città si chiamava Pietroburgo.
Ma Leningrado non somigliava più in nulla alla Pietroburgo dei suoi ricordi, alla città palcoscenico, Musa difficile, ma affascinante, madre di musicisti, poeti, pittori; piuttosto ora rievocava sinistramente il deserto di pietre ghiacciate da cui lo zar Pietro il Grande, secoli prima, aveva cavato la sua capitale.
Non c’era più vita nelle strade di Leningrado, solo gli spettri dell’oppressione e della violenza.
Erano i primi anni delle repressioni staliniane e il «montanaro del Cremlino» – così Mandel’štam aveva definito Stalin –con le sue dita «grasse come vermi» aveva stretto in una morsa feroce la città, lasciandola esangue. In un’atmosfera raggelata, Mandel’štam cercava i suoi affetti, i suoi amici, ma nelle vene di Leningrado scorrevano solo il silenzio e l’assenza. Eppure, loro restavano drammaticamente vivi per il poeta, che, come scriveva nella lirica Leningrad, conservava ancora i loro numeri di telefono, tutti gli indirizzi delle loro case: lì avrebbe ritrovato le voci dei morti.
Sono trascorsi 85 anni da quel terribile dicembre, ma ancora oggi, come allora, un indirizzo diventa il simbolo della memoria delle vittime, l’occasione per raccontare e ricordare vite tragicamente spezzate dagli abusi di Stalin.
Questa, infatti, è l’idea su cui si fonda il progetto
Poslednij Adre, che vuol dire appunto ultimo indirizzo.
Il progetto nasce in Russia da un’iniziativa civica che si propone di perpetuare la memoria delle repressioni staliniane applicando piccole placche commemorative ai muri delle case in cui le vittime vivevano prima di scomparire nei gulag sovietici.
L’attività di Poslednij Adres si basa sull’archivio storico di Memorial, l’associazione russa che opera nell’ambito della difesa dei Diritti Umani e che ha fra i suoi progetti più importanti la ricerca storica sul Grande Terrore sovietico. L’ispirazione, invece, è arrivata dalla Germania, dove l’artista Gunter Demnig ha lanciato già da tempo un’iniziativa rivolta a installare nel selciato di alcune città europee piccoli blocchi in pietra con lastre di ottone, sulle quali sono incisi i nomi, uno per pietra, di cittadini comuni, caduti per mano nazista negli anni 1933-45.
Poslednij Adres, con le sue piccole e sobrie installazioni, parla lo stesso sommesso linguaggio del quotidiano, del dolore raccolto e familiare. Non si propone di indagare e denunciare i crimini di un autocrate brutale, ma di celebrare il ricordo di esistenze comuni, di cui l’insensata violenza del regime staliniano aveva cancellato ogni traccia.
Infatti, dopo aver ricevuto la visita notturna da parte della polizia politica, gli arrestati venivano trasferiti nei gulag, in luoghi impervi e isolati, senza poter inviare notizie di sé ai propri familiari, che in molti casi venivano a conoscenza della morte dei loro cari solo dopo lunghi anni di un’attesa tanto lacerante, quanto vana.
Per queste vittime, sprofondate nell’abisso buio dei gulag e finite spesso in fosse comuni, l’apposizione della targa, che reca il nome del defunto, la professione, le date dell’arresto, della morte e della riabilitazione postuma, rappresenta l’unico funerale a cui abbiano avuto diritto.Ed è forse questo il motivo per cui le richieste per l’installazione delle placche commemorative si sono moltiplicate e il progetto, finanziato unicamente da donatori privati e da iniziative di crowdfunding, si sta espandendo da Mosca, la città in cui ha avuto origine, fino a toccare altre località sul territorio della Federazione Russa.
Nell’ultimo mesi otto targhe sono state installate a San Pietroburgo, la Leningrad della lirica di Mandel’štam, cinque a Perm’, città fra l’altro tristemente nota per la vicinanza al gulag Perm’-36, e una infine a Pozdnjakovo, piccolo centro a est di Mosca.
Tutto questo avviene nonostante lo sfavorevole contesto creato da un governo che sembra soffrire di memoria selettiva.
Infatti, se da una parte le autorità russe fomentano con entusiasmo i revival di miti gloriosi – come quello della Vittoria di Stalin sulla Germania Nazista – rispolverati e rimessi sul mercato in assenza di qualcosa di nuovo da vendere all’elettorato, dall’altra inventano capestri di ogni forma e modello per imbrigliare l’attività di ricerca storica e mettere a tacere il dibattito sui crimini di Stalin.
Risultato: l’idea secondo la quale le repressioni, il terrore, i milioni di morti siano stati un danno collaterale tutto sommato accettabile, se paragonato al prestigio internazionale che Stalin aveva portato all’Unione Sovietica.
Idea condivisa da molti, ma non da tutti. Infatti, le attività di Poslednij Adres, di Memorial e di altri progetti affini che sono nati o stanno nascendo nei territori dell’ex Unione Sovietica testimoniano che, per una parte ancora minoritaria ma ostinata della società civile russa, la memoria è fra i più alti valori da difendere.