Energia per lo sviluppo. Ma…

Lo stimolo per “dare” energia all’Africa nasce dalla necessità di aiutare le imprese che vi investono piuttosto che “dare” opportunità alle popolazioni che pagano l’energia a costi quasi sempre enormi

di Raffaele Masto, tratto da Buongiorno Africa

Lanceremo un “New deal” per l’energia in Africa, finalizzato a liberare l’enorme potenziale energetico del continente: lo ha dichiarato il nuovo presidente della Banca Africana di Sviluppo il nigeriano Akinwumi Adesina nel corso della cerimonia per la sua investitura svoltasi ad Abidjani, in Costa d’Avorio.

“La Bad sarà il pilastro centrale di questo processo cruciale per la crescita e lo sviluppo economico del nostro continente” ha detto Adesina, eletto per un mandato di cinque anni alla guida dell’istituto – un organismo strategico – che inietta ogni anno nell’economia africana circa due miliardi di dollari in progetti e infrastrutture. “L’energia è il motore dell’economia” ha sottolineato ancora, deplorando il fatto che, nonostante la ricchezza delle sue riserve di idrocarburi e ambientali, “un potenziale pressoché illimitato a livello solare, eolico, idroelettrico e geotermico”, gli abitanti del continente consacrino la maggior parte dei loro scarni salari a pagare l’energia.
Fin qui la notizia che traggo dall’agenzia MISNA. Una notizia che stimola alcune riflessioni sulla cruciale questione energetica in Africa. Dalle dichiarazioni di Adesina sembrerebbe che l’Africa stia realmente affrontando la questione energetica. Personalmente invece penso che il continente sia indietro, molto indietro.

È vero che negli ultimi venti anni la luce elettrica è arrivata in molti villaggi dell’Etiopia, del Ghana, dell’Angola. Ma quasi sempre le linee elettriche sono state costruite per servire infrastrutture e imprese straniere impegnate a sfruttare risorse africane. Dove non ci sono risorse la luce elettrica fa fatica ad arrivare, anche in paesi che crescono in modo vertiginoso e che sono riconosciuti come opportunità per gli investimenti stranieri.

In sostanza voglio dire che lo stimolo per “dare” energia all’Africa nasce dalla necessità di aiutare le imprese che vi investono piuttosto che “dare” opportunità alle popolazioni che, comunque, quando c’è, pagano l’energia a costi quasi sempre enormi. Ancora oggi i villaggi congolesi che sorgono nella regione del Basso Congo non hanno energia elettrica, ma sopra le loro teste passano i cavi sostenuti da immensi tralicci costruiti nella foresta che trasportano l’energia prodotta dalle grandi dighe di Inga. Dighe che dovrebbero portare energia fino in Europa e nel Sudafrica, ma non in quei villaggi. Stesso discorso per i villaggi nigeriani del Delta del Niger. La popolazione praticamente galleggia sul petrolio, risorsa che dà energia, sanità, istruzione, luce e divertimento in tutto il mondo, ma non nel Delta dove i villaggi sono quasi tutti senza luce e, ironia della sorte, inquinati e malsani.

Personalmente crederò e considererò giusti investimenti per l’energia in Africa quando constaterò che “dietro” non c’è qualche multinazionale o qualche potente governo occidentale, asiatico o arabo. E soprattutto quando constaterò che le risorse del continente cominceranno ad essere trasformate in Africa, nei paesi dove vengono estratte. Costruire segherie per la legna pregiata tagliata spesso in modo indiscriminato, costruire ditte per la lavorazione di metalli preziosi, raffinerie per il petrolio, imprese per l’inscatolamento della frutta esotica significa dare salari, distribuire potere d’acquisto e stimolare l’economia. Ecco, le risorse della Banca Africana di Sviluppo, dovrebbero essere impegnate per questo, in primo luogo. Concesse ai presidenti e ai governi africani a condizione che vengano impiegate per questi investimenti, che andrebbero poi controllati.

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