Ponti, non muri

Lo sport: un ponte per la Palestina

di Giuseppe Del Vecchio

 

Oristano.

Un tranquillo pomeriggio di settembre.

Si arriva per tempo.

Un’oretta di viaggio in macchina da Sassari.

I ragazzi sono silenziosi.

Preoccupati.

Quella spensieratezza che all’apparenza li aveva accompagnati fino a quel giorno lascia il posto a quella che per loro è responsabilità.

Duha Idriss porta dentro un dolore.

Sorride.

Ma si vede lontano un miglio che c’è qualcosa che la tiene lontana.

Cerca concentrazione.

Sarà la prima dei nostri amici a mettere i piedi sulla pista.

Sprinta lei.

C’è il sogno olimpico nelle sue gambe poco allenate alla pista.

C’è nel cuore, nelle gambe e in quei chiodi sotto le scarpe poco usati.

Murad Moghrabi e Ameer Ziad guardano il vuoto.

Devono aspettare un paio d’ore.

Devono resistere alle persone che li guardano, che li fotografano, che li incoraggiano.

Sembrano persone completamente diverse da quelle che avevamo visto la sera prima in Piazza Italia a Sassari a saltare, far video e ridere come pazzi a quello che è stato per loro il primo concerto mai visto in vita.

Cerchiamo di capire.

Ci preoccupiamo di superare indenni le pratiche burocratiche di un inizio di gara.

Il ritiro dei pettorali e la ricerca di spillette da balia per appuntarli sulle canotte.

Ci pensa Elisabetta Pinna.

Sorride.

Tira fuori dalla borsa una scatoletta.

In fondo un’allenatrice, per quanto possa essere intransigente sui particolari, ha sempre con sé il modo e le cose che servono.

Sa già il tempo che faranno.

Consiglia la tattica giusta.

E’ l’ora di Duha.

Sono tante.

Sono forti.

Sono allenate in strutture all’altezza.

Lei si allena sul sintetico di un campo di calcetto.

Ha messo alla prova la sua esplosività allo stadio dei Pini di Sassari, con Giorgio Fenu, Claudio Conti e con Elisabetta.

Ha rimesso ai piedi quelle scarpe coi chiodi ricevute di dono un anno prima da Fabrizio Baralla, che anche quest’anno ha provveduto a mettere le ali ai piedi dei ragazzi.

Ancora nuove.

Inutilizzate e inutilizzabili in Palestina.

Ma sembra una veterana.

Si piega sui blocchi.

Si alza.

Lo sparo.

Parte.

Lenta.

Tutti ormai credono che non siano i 100 metri la sua gara.

La vedono nei 400, al massimo nei 200.

Ma ora è qua.

In pochi secondi a godersi la libertà assieme a quelle ragazze che non sanno neanche cosa sia, per fortuna loro.

Bastano trenta metri per rimettersi alla pari con le altre.

A superarne un paio e a lottare fino alla fine con la ragazza che vincerà.

Troppo forte per lei.

Che ha già vinto solo ed esclusivamente per essere partita.

E’ seconda.

Sorride.

L’anno scorso la vidi arrancare e chiudere all’ultimo posto in quella batteria di Wonder Woman a Cagliari.

Foto, applausi, dita a V.

Murad e Ameer si sono spogliati.

Escono dallo stadio per riscaldarsi.

Il loro colorito olivastro sembra svanire.

Impallidirsi.

Non vogliono fare figuracce.

I loro amici a Gerico attendono buone nuove.

Vogliono assolutamente regalare gloria alla loro bandiera finalmente applaudita, amata e messa al centro dell’attenzione in un’isola che da un paio di anni ha cominciato a conoscerli, amarli, rispettarli.

Ma soprattutto a vederli con occhi nuovi.

Diversi da quelli che racconta la Cesara al tg5.

Ci siamo.

I 1.500 sono una gara tosta.

Bisogna fare attenzione a non tirare troppo subito.

A non partire troppo lenti.

Sono amici Murad e Ameer.

Si vogliono un bene dell’anima.

Partono gomito a gomito.

Per darsi forza.

Per difendersi.

Vedo i loro visi da lontano.

Sembra abbiano tirato via quel velo pallido.

Ora sono là in un posto che forse neanche avevano mai avuto il coraggio nemmeno di sognare.

Lo sparo.

Seguono alla lettera le indicazioni.

Stanno nel gruppo.

La voglia di star dietro al primo, quello forte forte, la mettono da parte.

Sanno che non arriverebbero al traguardo in maniera dignitosa.

Restano loro due e tutti gli altri.

Murad si mette davanti al gruppo.

Ameer lascia uno tra loro.

Piano piano i peggiori restano lontani.

Arrivano sul rettilineo finale.

Ameer si è appena tolto l’atleta che era tra lui e Murad.

Il primo sta tagliando il traguardo, ma non lo guarda nessuno.

Non esiste.

La gente urla e incoraggia.

Esistono solo loro.

Sono belli, bellissimi.

Ma non vogliono assolutamente far finire le emozioni.

Vanno oltre.

Murad è avanti di una cinquantina di metri.

Ha voglia di spaccare il traguardo ma rallenta, si gira un po’ e muove il braccio.

Dà forza al suo compagno.

Al suo amico.

A suo fratello.

Se ne frega di quei secondi persi.

Arrivano quasi assieme.

Secondo e terzo.

Primi.

Si abbracciano.

Tutti li abbracciano.

Io non riesco a trattenere le lacrime.

Entro in pista.

E mi infilo in quell’abbraccio come se fosse l’unica cosa che non posso perdere al mondo.

 

Murad

 

Ecco.

Questo è solo un frammento di quello che il progetto “lo sport: un ponte per la Palestina” racconta da un paio d’anni.

L’associazione di Sassari Ponti non Muri quasi per caso ha incontrato la squadra dei giovani di Gerico sul suo cammino.

Durante la rassegna cinematografica “Visioni Solidali” venne proiettato il film Inshallah Beijing, la storia dei 4 atleti palestinesi che parteciparono alle olimpiadi di Pechino.

E un po’ come succede nelle favole, Ilaria Moretti, Andrea Zironi, Marie Rose Mezzanotte, Lavinia Rosa, Claudio Conti, Silvia Sanna e tutti i ragazzi e le ragazze di Ponti non Muri hanno deciso di entrare dentro quel film, di conoscere i protagonisti, di correre assieme a loro.

Presero contatti con Mohammed Isayed, ingegnere al comune di Gerico con laurea presa a Pisa, ormai interprete ufficiale del progetto e Mamoon Baloo, che nel film si allenava col maratoneta di Gaza Nader Al Nasri che partecipò a quelle olimpiadi, che è ora uno degli allenatori della squadra di Gerico. Unica mista in tutta la Palestina. Un baluardo costituito di sangue, sudore e simpatia.

Si è cominciato con poco.

Scarpette e canotte uguali per tutti.

Essenziali non solo per correre e allenarsi ma per sentirsi finalmente squadra.

E poi, di fronte a quelle corse intorno a un campo di calcetto in sintetico o a corti allenamenti nel deserto mai troppo sicuro l’idea di portare i migliori, i più promettenti, i più volenterosi a Sassari.

Mettere a loro disposizioni una pista vera, allenatori all’avanguardia, quelli del Cus Sassari, medici, terapisti e massaggiatori.

Farli gareggiare in competizioni vere, con lo starter, i cronometristi ufficiali e avversari ancora troppo più forti di loro e che non fanno sconti a nessuno.

E mischiarli alla popolazione sarda, alle sue istituzioni e a quel mare meraviglioso che per alcuni di loro era elemento assolutamente sconosciuto ai sensi.

Si concluderà il 15 settembre 2015 il secondo stage al quale ha partecipato anche Natali Shaeen, calciatrice della nazionale palestinese, che si è allenata con la squadra degli allievi del Cus Sassari e che porterà con sé un bagaglio tecnico e umano da donare alle sue compagne di squadra finalmente sereno, sano, vivo.

Ma Ponti non Muri sta guardando oltre.

Al sogno di costruire una pista di atletica a Gerico che possa almeno dare a questi ragazzi la possibilità di partire alla pari con gli altri.

E che possa far avvicinare allo sport tanti altri.

E che finalmente regali a tutta la Palestina un luogo dove confrontarsi vivo, pulsante e sicuro anche per i piedi e le caviglie.

Sotto occupazione è difficilissimo anche allacciarsi le scarpe in tempo certe volte.

C’è sempre qualcosa dentro che ti fa stare malissimo.

Che ti fa rimbalzare nelle tempie “perché?”

E’ un compito difficile da realizzare.

Ma se siamo qui oggi è perché abbiamo avuto modo di vedere che la conoscenza delle cose e delle persone fatta in maniera diretta rende ogni cosa semplice, naturale.

Una necessità.

E allora l’invito a tutti coloro che inciampano su questo articolo, scritto da uno che non sa scrivere articoli è quello di far parte di questo sogno.

Di parlarne.

Di sostenerlo.

E se non sarà Rio si tratterà di attendere quattro anni per togliere il velo di scaramanzia a quello che in questo momento non riesco a dire ma che vorrei tanto accadesse.

Per ogni informazione sui progetti di Ponti non Muri in Palestina

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