Funky Tomato, l’azienda caporalato-free che vende il pomodoro in anticipo

Tra Puglia e Basilicata, una piccolissima impresa unisce italiani e migranti e produce il “Pomodoro a filiera partecipata” grazie a 15mila bottiglie di salsa vendute online. “Basterebbe alzare di poco il prezzo del prodotto all’origine per garantire un lavoro dignitoso anche ai braccianti”

di Giulia Bondi
tratto da Redattore Sociale

Walim, chinato sulle piante, taglia i pomodori un grappolo alla volta, con il coltello. Walim ha un contratto di lavoro regolare, e la passata che nascerà da quei pomodori è quasi tutta già venduta, anche da prima che i frutti maturassero sulle piante. Siamo nei campi di San Ferdinando e Palazzo San Gervasio, tra Puglia e Basilicata, la cui produzione è destinata al progetto “Funky Tomato. Pomodoro a filiera partecipata”.

Grazie alle 15mila bottiglie di salsa, pelati o pomodoro a pezzi acquistate in anticipo da ristoranti, gruppi di acquisto o singole persone, il progetto ha potuto assumere a tempo determinato quattro lavoratori: Yakouba e Walim, entrambi burkinabé, che si occupano prevalentemente della raccolta, insieme ad Anita, una giovane mamma di Cancellara e a Mamadou, senegalese, che lavorano nel laboratorio di trasformazione.

“Speriamo che la sperimentazione di quest’anno possa continuare e ampliarsi, consentendoci di dare stipendi anche alle altre persone che hanno contribuito al progetto. La nostra intenzione non è ricavare profitti, ma nemmeno fare, semplicemente, volontariato o solidarietà. Noi vorremmo mostrare che un’economia diversa del pomodoro è possibile”. Parla con decisione Giulia Anita Bari, che per il progetto Funky Tomato coordina la gestione e la comunicazione, e che al momento è tra coloro che a questa idea hanno lavorato volontariamente.

 

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Giulia conosce bene la filiera del pomodoro in Puglia e Basilicata e lo sfruttamento dei braccianti agricoli, soprattutto africani, impegnati nella raccolta e reclutati attraverso il caporalato. Per Medu – Medici per i diritti umani coordina la campagna Terragiusta, iniziativa di monitoraggio, presidio e assistenza medica con unità mobili nei luoghi in cui vivono i lavoratori agricoli stagionali: dalla Capitanata in Puglia, al territorio di Venosa in Basilicata, fino a Rosarno e alla piana di Gioia Tauro per la stagione invernale delle arance calabresi.

L’idea dei “pomodori funky”, per quanto piccola, è un’alternativa allo sfruttamento che ha messo in rete realtà e persone impegnate da anni: agricoltori, agronomi, braccianti, ma anche artisti (con la serie di concerti “Fuori dal Ghetto” di Sandro Joyeux, una tournée negli insediamenti informali di braccianti) e cuochi, come Stefano Carucci che ha dato consigli per la preparazione della salsa e l’organizzazione del laboratorio.

E mentre in Puglia e Basilicata molti braccianti lavorano anche per dieci ore al giorno a cottimo, e il grosso dei contratti sono fittizi, i quattro dipendenti di Funky Tomato ricevono per ogni giornata di lavoro i circa 47 euro netti previsti dalla legge. E grazie ai loro contratti stagionali riescono a maturare i giorni necessari per usufruire, quando non lavorano, degli ammortizzatori sociali spettanti ai lavoratori dell’agricoltura.

Il pomodoro si raccoglie a mano, in modo che la pianta possa rifiorire e produrre per tutta la stagione, e si colloca in cassettine da dieci chili, anziché nei cassoni da 4 quintali delle produzioni industriali. Una qualità, e una piccolissima dimensione, che portano il costo della materia prima intorno ai 40 centesimi al chilo, contro gli 8-12 centesimi di prezzo medio del pomodoro lucano destinato alla trasformazione industriale. “Forse basterebbe portare il prezzo a 15 o 20 centesimi al chilo per poter garantire un lavoro dignitoso anche ai braccianti che raccolgono per le grandi imprese”, commenta Giulia Anita Bari. “O forse – prosegue – basterebbe che qualcuno rinunciasse a una parte anche piccola di profitto per dare una paga giusta ai lavoratori”.

Ai primi di ottobre, le bottiglie vendute cominceranno ad arrivare a casa degli acquirenti, che con il loro preacquisto sono diventati di fatto co-produttori. E l’idea per il prossimo anno è di espandersi anche all’estero. Magari in Francia, se i braccianti, francofoni, avranno voglia di mettersi alla prova nella comunicazione o nel commercio online. “Per noi, i contatti più interessanti sono con ristoranti e negozi, che siano interessati a un prodotto di alta qualità, possano garantire una certa costanza e dimensione degli ordini e ci permettano quindi di fare programmi per la prossima stagione”, spiega Paolo Russo, responsabile di un’azienda agricola in Puglia e coordinatore della commercializzazione e trasformazione di Funky Tomato. Intanto, cinquemila bottiglie da 600 ml della produzione 2015 sono ancora in vendita sul sito, con scaglioni di prezzo diversi a seconda delle quantità acquistate.