di Alfredo Somoza
Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, si è velocemente guadagnato un ruolo di leadership globale in uno scenario di vuoto e di caos che spinge la gente a cercare nuovi riferimenti che si fa fatica però ad individuare.
Il Papa ha un profilo fortemente definito sul piano pastorale, ma anche molto “politico” rispetto alle umane vicende. Anzitutto incarna un prototipo di uomo pubblico raro, ma molto rispettato.
L’austerità francescana di Bergoglio è molto simile, anche se su basi culturali completamente diverse, delle regole di vita e di comportamento dell’ex presidente uruguayano José Pepe Mujica, un contadino ed ex-guerrigliero diventato popolare internazionalmente.
Bergoglio parla molto chiaro, con un linguaggio tarato sulle difficoltà di un paese, l’Argentina, che era fallito nel 2001 quando lui era arcivescovo di Buenos Aires. Difficoltà oggi purtroppo comuni a tanti altri paesi. Nel suo linguaggio l’analisi spietata sull’esistente è sempre accompagnata dalla fiducia nell’uomo e nei valori, come il servizio, che possano dare una speranza. La sua radicale affermazione nell’omelia in Plaza de la Revolución all’Avana, “chi non vive per servire non serve per vivere”, ha sicuramente riecheggiato le frasi di un altro argentino, presente in effigie alla Messa, quel Che Guevara che diceva “siate capaci di sentire nel più profondo di voi stessi le ingiustizie commesse contro chiunque in qualsiasi parte del mondo”. Due visioni totalizzanti e simili, entrambe riferite all’uomo come essere compiuto solo se al servizio degli altri.
Papa Francesco è stato riconosciuto anche come mediatore imprescindibile tra contendenti. Il metodo del dialogo, da lui esaltato in chiara polemica sul “metodo della guerra”, la diplomazia discreta e di alto livello, la ricerca di ciò che unisce, il metodo gesuitico insomma, oggi stupisce perché decisivo per chiudere l’ultimo simbolo della Guerra Fredda, lo scontro Usa-Cuba.
Non solo politica latinoamericana interessano però al Papa, i temi dei migranti e dell’ambiente che ha scelto per la sua tappa statunitense sono argomenti avversati dai repubblicani impegnati nelle Primarie, che ritengano che il cambio climatico non esista e che i migranti vadano ricacciati indietro innalzando un muro ancora più alto al confine con il Messico.
Il Vaticano di Francesco torna in trincea, dopo avere abbandonato per anni il Continente dove vive la maggioranza dei cattolici consegnandolo di fatto alle chiese evangeliche e pentecostali. Un ritorno che insieme ai prossimi viaggi programmati in Africa stanno spostando l’asse della Chiesa eurocentrica, fortemente influenzata dalle gerarchie vaticane e dai mondi economici e politici contigui. La fine dello IOR come banca offshore, il licenziamento di fatto della Sacra Rota e degli avvocati vaticani, la lontananza dai partiti che si richiamano alla Chiesa, l’idea di far pagare le tasse alle sedi ecclesiastiche che fanno business, il depotenziamento di fatto del Vaticano da parte del “Vescovo di Roma”, sono proprio la benzina che sta alimentando il rilancio della Chiesa. La chiesa di Francesco è globale, non “romana”, e questo si dimostra anche nei fatti, ad esempio ospitando in Vaticano solo due famiglie di profughi siriani, ma imponendo a tutta la Chiesa di fare altrettanto. Non centro e periferia, ma comunità diffusa, rete, ecclesia, comunità di credenti.
La geopolitica del Vaticano per secoli è stata tratteggiata dai gesuiti, per la prima volta uno di loro sta occupandosi insieme di religione e di politica in veste di Pontefice. Una novità che lascerà sicuramente profondi segni sulla Chiesa del futuro.
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