Bogotà 23 settembre

Il tramonto scende su un giorno in qualche modo storico.
Le strade di Bogotà si riempiono del solito esodo a velocità diverse. Automobili, autobus e uno sciame di moto scorrono accanto ai carretti ambulanti e riempiono di fumo e di clacson l’aria rarefatta dell’altipiano cundiboyacense.

da Bogotà,
Sandro Bozzolo

Non c’è nessuna differenza tra questo 23 settembre e ogni altro giorno festivo in cui non gioca la Nazionale di calcio; non ci sono cortei per strada e dentro i locali le televisioni rimangono su sintonizzate su canali diverse.
L’accordo firmato oggi a L’Avana tra il Presidente Santos e alias Timochenko, il leader del gruppo guerrigliero delle FARC, passa in sordina come un qualcosa di previsto, una notizia già vecchia.

L’accordo, tutt’altro che scontato, era nell’aria da tempo, soprattutto perché la comunità internazionale – capeggiata dalla strana coppia composta da un Castro e un Pontefice, che in Colombia equivale a dire “il diavolo e l’acqua santa” – non avrebbe tollerato facilmente ulteriori intoppi in una trattativa che va avanti, sul territorio neutro di Cuba, dal 2012.
Era nell’aria soprattutto perché è la società colombiana a chiederlo da tempo, asfissiata da una guerra civile che per decenni è stata legata al controllo di vasti territori isolati, particolarmente adatti per il business del narcotraffico.
L’anacronismo anagrammatico delle FARC [Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane] è particolarmente percettibile tra le generazioni più giovani, che quando si sono illuse davvero con un cambio, hanno abbracciato proposte politiche radicalmente opposte all’idea della “forza armata”, come ha dimostrato il fenomeno massiccio della “Ola Verde” [Onda Verde] scatenata dal filosofo Antanas Mockus nel 2010 (il fenomeno è raccontato dal documentario Life is Sacred, che sarà presentato in anteprima italiana nella rassegna Guardare al presente il 15 ottobre a Lecce).

La vera minaccia al processo di pace era – e continua a essere – rappresentata dall’ex-presidente Alvaro Uribe, che dal 2002 ha cavalcato un’efficace retorica politica della “guerra con ogni mezzo possibile”.

Negli anni della sua gestione, spesso la soluzione si è rivelata essere peggiore del problema, in quanto ha portato a un massiccio riarmo (militare e paramilitare) che ha generato nuove violenze, un incremento dell’esodo interno, e ulteriore ingiustizia sociale. Nonostante sia uscito di scena nel 2010, dalle sue ingenti proprietà terriere nella regione d’Antioquia Uribe continua a muovere le leve della politica colombiana, controllando – anche attraverso il clientelismo endemico nel Paese – un bacino di voti che potrebbe rivelarsi determinante alle prossime elezioni, previste nel 2018, nelle quali Santos sarà fuori dai giochi per limiti di mandato.

Per questo l’accordo di L’Avana, che è frutto di mesi di coordinato lavoro tra i principali esperti di questioni tecniche e giuridiche in Colombia – rappresenta un passaggio fondamentale nella martoriata storia contemporanea del Paese. Il processo di normalizzazione in atto negli ultimi anni si traduce in termini economici concreti: se “i mercati hanno bisogno di sicurezze”, come immancabilmente si sente ripetere in questi casi, la riconversione delle FARC in una forza politica democratica non potrà che legittimare il buon credito di cui ultimamente gode la Colombia nel panorama politico americano.

Resta da capire quel che accadrà nelle vaste aree periferiche che fino ad oggi sono rimaste sotto l’egida dei guerriglieri, in una sorta di “sistema” che ricalca fedelmente il modello tracciato da certe mafie italiane.
In questo mercoledì 23 settembre, mentre la banda militare, insensibile all’assenza del Presidente, suonava il cambio della guardia di fronte alla Casa de Nariño, una ragazza intimidita chiedeva a un soldato di guardia informazioni su come raggiungere la moglie di Santos. Aveva una lettera che avrebbe voluto consegnare personalmente, e arrivava da Ciudad Bolìvar, uno dei barrios calientes [quartieri caldi] di Bogotà.
Per lei la guerra non era ancora finita: L’Avana continuava a essere un luogo straniero.

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