Fine conflitto 23 marzo 2016

23 marzo 2016, questa la data di scadenza del conflitto colombiano, durato 51 anni e costato la vita a 220 mila persone e tutti gli averi di circa 5 milioni di desplazados. Il più lungo conflitto dell’America Latina e di tutto l’emisfero occidentale

Da Bogotà,
Simone Bruno

La notizia è giunta mercoledì all’improvviso, dopo mesi in cui i negoziati dell’Avana tra governo e guerriglieri delle FARC stagnavano sul punto più complesso, quello della giustizia.
In gioco c’erano interessi difficili da conciliare, da una parte la necessità del presidente Juan Manuel Santos di non firmare un accordo di impunità e dall’altra gli interessi degli integranti del segretariato delle FARC, che hanno dichiarato più volte di non essere disposti a passare neppure un giorno in galera, a meno di non farlo con i generali, i politici e gli imprenditori che hanno armato i paramilitari.
Un accordo d’impunità per crimini di guerra e di lesa umanità avrebbe poi aperto le porte ai vari tribunali e istanze di giustizia internazionali, specialmente la Corte Interamericana dei Diritti umani e la Corte Penale Internazionale, che già ha un’indagine aperta sull’esercito colombiano e l’ex presidente Uribe.

E proprio l’ex presidente è il nemico interno del processo di pace, tanto che appena finita la conferenza stampa da Cuba, con la storica stretta di mano tra il presidente e Timochenko, il comandante delle FARC, ha chiamato a radunata i suoi, per organizzare una qualche risposta, mentre il paese, incredulo scoppiava in una gioia repressa nello scetticismo per troppo tempo.

Secondo l’ex mandatario, che è stato il più acerrimo nemico delle FARC, tanto che durante i suoi otto anni di presidenza le fila della guerriglia più antica del continente, si sono ridotte dai circa 20 mila integranti del 2002 ai quasi 7000 di ora. Però durante la sua presidenza sono aumentati gli omicidi di civili da parte dell’esercito e i paramilitari si sono espansi in tutto il paese. Tanto che, come dicevamo, ci sono numerose indagini aperte sia nel paese che fuori proprio su Uribe, per violazioni dei diritti umani.

In particolare l’accordo sulla giustizia prevede l’istituzione di tribunali speciali che impartiranno pene di restrizione della libertà, alternative al carcere, tra i cinque e gli otto anni per i guerriglieri che riconosceranno i crimini che gli vengono attribuiti. Tutti gli altri saranno giudicati dalla giustizia tradizionale con pene fino a 20 anni di carcere.

Come saranno le pene alternative non è ancora chiaro, ciò che è chiaro è che i tribunali speciali sono però aperti a tutti, non solo ai guerriglieri, vi potranno essere giudicati, sotto le stesse norme, anche militari e civili per crimini relativi al conflitto armato. Quali crimini saranno questi crimini, sarà deciso dai giudici nazionali e internazionali che integreranno i tribunali.

L’accordo prevede l’amnistia per i crimini relativi all’attività guerrigliera, incluso, anche se solo parzialmente, il narcotraffico. Per i crimini di lesa umanità e di guerra invece si ricorrerà ai tribunali speciali.

Secondo le prime analisi, questa formula permetterà di evitare l’intervento della Corte Penale Internazionale sul processo di pace, in quanto non esisterà impunità. Si tratta infatti di un buon compromesso, molto più avanzato di quelli, per esempio, dei processi del Cono Sud, del Sud Africa o dell’Irlanda, dove, invece, l’impunità ha regnato. Il compromesso accoglie tutte le esigenze della giustizia transizionale, ovvia quelle specifiche circostanze di sospensione o riduzione della pena, che accompagnano i processi di pace. In questi casi, pur evitando l’impunità ci si preoccupa molto di più di stabilire la verità integrale, la riparazione alle vittime e la promessa di non ripetizione dei crimini. A cambio di ciò si possono applicare pesanti sconti di pena o anche pene alternative.

Questo era il quarto punto di un’agenda di sei che è oggetto dei dialoghi dell’Avana, precedentemente si è accordato una riforma agraria integrale; politiche di lotta contro il narcotraffico e la partecipazione politica degli ex guerriglieri, una volta lasciate le armi.

Come accordi extra la guerriglia e l’esercito stanno già mettendo in pratica un protocollo per bonificare i campi minati e i guerriglieri hanno dichiarato un cessate al fuoco unilaterale dal passato luglio. Tnato che agosto è stato il meno con meno scontri armati da decadi. Quello che resta sono pure formalità, ossia: come smobilitare i guerriglieri e come avverrà la vera e propria fine del conflitto.

Per questo l’entusiasmo e l’incontro tra Santos e Rodrigo Londoño, conosciuto con il nom de guerre di Timochenko che si sono appunto spinti fino a decidere che tra sei mesi esatti si potrà firmare l’accordo finale di pace, che, dopo un referendum, porterà entro sessanta giorni alla consegna delle armi da parte dei guerriglieri delle FARC.

Il referendum resta un’incognita sulla quale punta Uribe nel suo disperato tentativo di mantenere il paese in guerra, uno scenario favorevole alla sua politica di mano forte, con la promessa di sterminare tutti i guerriglieri che non si arrendano.

I colombiani hanno vissuto questo ennesimo processo di pace con una certa apatia e scetticismo, dovuto proprio alle speranze tante volte frustrate in questi decenni, questo fino alla foto di mercoledì, quella foto di Raúl Castro che pone le sue mani su quello strette di Santos e Timochenko, una foto mai vista prima in Colombia e che ha reso tutto il processo reale e la pace a un solo passo, tanto vicina da poterla quasi toccare.

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