Il diritto di migrare

La politologa de Wenden e un’umanità in cammino da sempre

di Christian Elia

“Secondo alcuni osservatori, saremmo entrati nella seconda ondata della migrazione di massa; la prima si colloca tra il 1850 e il 1930, quando nell’epoca dell’introduzione della macchina a vapore si sono prodotti degli spostamenti rapidi di popolazione verso le società industrializzate. In questa seconda ondata la pressione alle frontiere continua, e comincia ad affiorare la pressione per il diritto all’emigrazione come norma sopranazionale, gestita a livello mondiale”.

La politologa Catherine Withol de Wenden, direttrice di ricerca presso il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica francese, docente a Science Po a Parigi, è una delle voci europee più autorevole in tema id migrazioni. Proprio per questo non la vedrete mai in un talk show o intervistata da un media mainstream italiano.

Con Ediesse, ha pubblicato in Italia Il diritto di migrare, un testo che ripercorre in un articolato saggio la sua ricerca rispetto a quello che forse rappresenta uno dei passaggi culturali necessari che attendono le nostre società. Migrare è un diritto. Lo sostiene una letteratura mondiale che vanta pareri favorevoli di spessore, quali la scuola filosofica di Salamanca, Grozio, Locke, Voltaire, Kant, per arrivare a Zigmunt Baumann, passando per Hannah Arendt. Salvini no, invece.

Diritto di migrare

Perché il diritto di uscire da uno Stato ha rappresentato una prima, millenaria, battaglia, sostituita nel tempo dal diritto di entrare. Perché la ricerca della protezione internazionale è un diritto umano ormai consolidato. E perché le migrazioni, da sempre, fanno bene all’economia e alle società.

La de Wenden richiama tutti i testi che hanno sancito questo diritto, che hanno da tempo orientato le organizzazioni internazionali (con tutta la fatica del caso) a lavorare su come gestire un fenomeno sistemico, più che su come fermarlo. Perché non accadrà e perché se accadesse rappresenterebbe un passo indietro, non un passo avanti.

Le immagini degli sbarchi, le tragedie delle carrette del mare, i muri sempre più alti, non fermano nessuno. Sono solo un prodotto a uso e consumo dell’opinione pubblica drogata dagli imprenditori della paura. E la de Wenden lo svela senza assumere una posizione da attivista, ma attenendosi a testi e convenzioni.

La conclusione non può essere che una: “Il diritto di migrare che è anche diritto alla mobilità internazionale, implica la definizione di una cittadinanza al di fuori dei confini. […]Questa cittadinanza si applicherà ai cittadini mobili”.
Di fronte alla rabbia impotente di coloro che non hanno idea di come spiegheremo la mattanza dei morti nel Mediterraneo, la battaglia per il riconoscimento al diritto di migrare è un passaggio fondamentale, per dare un contenuto a quello che rischia di restare solo una sbigottita impotenza o una complice indifferenza.

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