La Strage alla Mecca- L’equazione del Panico

Ogni anno centinaia di persone perdono la vita per fenomeni traumatici dovuti alla dinamica di una folla in preda al panico

di Bruno Giorgini

Oltre 700, se non 800, persone sono morte – circa mille ferite, con numeri ancora incerti – schiacciate e soffocate nella calca durante una tappa rituale del pellegrinaggio, l’Haji, alla Mecca, nella città santa di Mina.

La dinamica della catastrofe non è ancora chiara, pare che due spezzoni del flusso di pellegrini si siano incrociati in un certo punto del percorso arrivando a collisione, quell’evento imprevisto e quel punto diventando una sorta di antenna vibrante diffusore del panico. Dopodiche è stato il massacro.

Non è la prima volta che accade una strage dovuta all’insorgere del panico alla Mecca, ma anche in un concerto Rock – a Duisburg nel 2010 durante la Love Parade nella ressa indotta dal panico morirono 19 giovani – o in altre situazioni che vedono la convergenza di masse grandi di individui a contatto. Ogni anno centinaia di persone perdono la vita per schiacciamento o altri fenomeni traumatici dovuti alla dinamica di una folla che diventa preda del panico.

Inoltre il panico può generarsi e propagarsi pure tra la folla che frequenta il web, composta da individui fisicamente lontani ma contigui nella rete, si pensi soltanto al panico in borsa che, una volta innescato, rapidamente copre l’intero mondo.

Ma cosa è il panico, come possiamo definirlo, come nasce e si propaga, e infine si può prevedere e/o prevenire?
Alla voce panico scrive lo Zingarelli: timore repentino che annulla la ragione e rende impossibile ogni reazione logica.
Su Wikipedia leggiamo: stato di paura o terrore per lo più collettivo e improvviso non soggiogato dalla riflessione, che nasce a fronte di un pericolo reale o presunto, portando irresistibilmente ad atti avventati o inconsulti.

Quindi una follia, un impazzimento, per cui non resta altro che fare appello gli psichiatri. In quest’ottica evidentemente non c’è speranza di poterlo modellare per via razionale, tanto meno usando la ragione fisica e/o matematica.
I metodi delle scienze esatte sembrano del tutto inadeguati per comprendere un fenomeno che, per definizione, annulla la ragione.

Possiamo chiederci se le formiche vanno in panico di fronte a un evento violento che colpisce il formicaio o un loro gruppo che sta raccogliendo il cibo. Lo stesso per un organismo, per un aggregato di cellule e persino per la singola cellula.

Le formiche, che all’occhio paiono andare senza ragione in tutte le direzioni, appunto come impazzite, per il fuoco che devasta il formicaio, in realtà attuano una strategia di sopravvivenza affinché qualche individuo della specie si salvi per rifondare la colonia, il che vale, in forme e manifestazioni diverse, anche per gli organismi e le cellule.

In natura il meccanismo del panico interviene in situazioni più o meno estreme come tentativo di garantire la sopravvivenza degli individui, almeno alcuni al limite uno, che potranno perpetuare la specie o colonia.
Seguendo questo pensiero, dove il panico è l’extrema ratio della sopravvivenza, possiamo tentare di costruire un modello che ne dia conto. Ed è quello che ha fatto un gruppo di ricercatori del Laboratorio di Fisica della Città di Bologna, giungendo a scrivere una vera e propria equazione del panico.

Aggiungiamo che Il problema della descrizione e comprensione dei sistemi cognitivi, è stato recentemente considerato non solo per quanto attiene i comportamenti razionali, ma anche tenendo conto del libero arbitrio individuale e del campo delle decisioni cosidette irrazionali (si veda per esempio “predictably irrational” di dan ariely – 2008).

Ma tornando alla Mecca, D. Helbing, A. Johansson e H. Zein Al-Abiden hanno pubblicato nel 2007 un articolo in cui analizzano le videoregistrazioni del disastro avvenuto durante il pellegrinaggio del 2006, quando alcune centinaia di persone morirono schiacciate, migliaia rimasero ferite e traumatizzate.

Nell’articolo di Helbing, Dynamics of crowd disasters: An empirical study, si individuano tre transizioni di regime, da uno stato laminare ordinato, allo stop and go, del tipo di quello che sperimentiamo in autostrada – code a tratti – nelle situazioni di grande traffico, fino alla turbolenza dispiegata.

Se vogliamo una rappresentazione casalinga del fenomeno, basta che apriamo il rubinetto. All’inizio avremo una colonna d’acqua che sembra ferma, stato stazionario, quindi comparirà una pulsazione, stato periodico, poi
continuando a aprire il rubinetto, cioè aumentando l’energia, il moto dell’acqua diventerà via via più irregolare e aperiodico fino alla turbolenza.

Inoltre osservando i video, si nota che l’innesco del caos che porta al panico avviene quando nel flusso di migliaia di individui alcuni, meno di dieci, invertono il loro cammino rispetto a tutti gli altri, mentre girano intorno alla grande fontana/vasca sacra. Quindi una piccolissima perturbazione/instabilità ha generato un’onda di panico globale, uno tsunami provocato da poche gocce, il che è tipico dei fenomeni altamente non lineari.

Spiegano poi gli studiosi di religioni che questa inversione costituisce un atto di blasfemia perchè attorno alla fontana la religione islamica prescrive si possa girare solo in un senso, non ricordo più se orario o antiorario – l’universo divino dell’Islam sarebbe insomma strettamente sinistrorso (o destrorso).

In generale l’osservazione del panico in una folla ci dice che il numero di gradi libertà per il movimento individuale diminuisce mano a mano che, crescendo gli stati d’affollamento, aumenta la densità dello spazio (sociale, vitale, fisico), che viene invaso: insomma quando il singolo si trova sempre più messo alle strette dai suoi vicini, la sua libertà di movimento – l’essenza della libertà umana è la libertà di muoversi – diminuisce generando angoscia e paura, facendolo divincolare e scalciare.

Definiamo quindi “stato affollato” quello nel quale la densità è tale per cui mediamente lo spazio sociale – classicamente lo spazio della stretta di mano – viene invaso; “stato di ammassamento” quando lo spazio vitale (circa mezzo metro quadro) viene violato; infine lo “stato catastrofico” se lo spazio fisico del corpo viene compresso con schiacciamento.
Ma per capire come scoppi il panico, non basta.

Gli stati di panico possono infatti anche insorgere in presenza di una folla “rada”, dove può accadere che tutti si precipitino ammassandosi verso un punto, mentre nello stesso spazio rimangono ampie zone vuote. Il panico può inoltre accendersi senza alcun pericolo reale, a volte bastando una minuscola perturbazione che incrina la stabilità e l’equilibrio del sistema, cresce e si propaga, più o meno come una frattura di faglia che culmina nel terremoto.

A questo punto abbandoniamo l’analisi qualitativa tentando di scrivere un’equazione che fornisca una ragionevole descrizione del fenomeno e una possibile previsione, sia pure probabilistica, delle soglie oltre cui può scatenarsi il panico.
Per scrivere la nostra equazione del panico dobbiamo andare più in profondità, arrivando a cogliere e modellare la dinamica “microscopica” degli individui componenti la folla.Usando poi la statistica possiamo mettere in relazione il comportamento individuale con fenomeni macroscopici come appunto il panico.

Il primo passo è la costruzione di un modello rappresentativo della realtà e delle nostre idee sulla realtà. Nel nostro caso il panico è assunto come un fenomeno dinamico a forte valenza cognitiva, e quindi scegliamo come paradigma un gas di atomi “intelligenti”, che seguendo Van Neumann chiamiamo automi.

Il secondo passo è definire le proprietà microscopiche dei nostri automi e gli assiomi della teoria, questione particolarmente delicata perchè mette in gioco la nostra concezione del cervello, il modo in cui si prendono le decisioni, il ruolo dell’informazione, l’interazione con l’ambiente ecc.. A questo punto possiamo scrivere un’equazione autoconsistente con gli assiomi.

Terzo passo. Con la nostra equazione in tasca torniamo alla realtà, scegliendo uno o più casi concreti di folla, e vediamo se essa è una approssimazione ragionevole di come va il mondo delle folle. Per esempio a Venezia durante il carnevale, o per la festa della Salute, oppure sulle banchine delle stazioni del metrò parigino.

Ma noi soltanto disegneremo di seguito alcuni tratti per dare la percezione delle grandezze in gioco e delle loro reciproche relazioni costituenti l’equazione del panico.
In generale l’equazione – tecnicamente detta alla Langevin – mette in rapporto l’informazione del singolo, il suo libero arbitrio (free will), e il caso.

Più precisamente, lo stato cognitivo di un individuo (automa) viene definito da: una funzione utilità (costruita tramite l’informazione soggettiva) che rappresenta la razionalià sociale condivisa, una temperatura sociale che tiene conto del free will e una parte casuale (randomatica) per gli imprevisti. Inoltre si introduce un parametro c che misura il grado di cooperazione, ovvero c=1 per gli automi cooperativi, c=-1 per i misantropi e/o selfish (egoisti) che dir si voglia, c= 0 per gli indecisi.

La partita si gioca nel rapporto tra funzione utilità e temperatura sociale (parametro di controllo), le cui variazioni descrivono le transizioni tra ordine e caos fino al panico, sottolineando che in via di principio tutte le grandezze in ballo sono misurabili. Uno o pochi individui scelgono di abbandonare la razionalità condivisa, , egli/loro perde/ono l’appartenenza al gruppo di riferimento optando per una strategia selfish (egoistica) – i pochi che invertono la marcia alla Mecca nel 2006 – la temperatura sociale cresce, e oltre un certo limite di soglia si innesca il panico che rapidamente si diffonde.

Per spiegare meglio cosa sono la funzione utilità e la temperatura sociale facciamo un esempio andando a Bagnoli (Napoli). Al tempo dell’Ilva la funzione utilità era alta. La grande acciaeria che dava lavoro a migliaia di persone proponeva, definiva e organizzava non solo materialmente, ma anche dal punto di vista cognitivo e dell’informazione, la razionalità sociale condivisa dalla comunità di Bagnoli: dall’identità al sostentamento delle famiglie, dalla partizione del tempo fino alla mobilità.

La temperatura sociale invece, legata all’energia di free will, era bassa, emergendo soltanto nel cosidetto tempo libero, e contando quasi nulla nell’assetto collettivo. Viceversa quando l’Ilva chiuse, il free will prese il sopravvento mentre la funzione utilità tendeva a zero, e i casi di panico furono molti, qualcuno fino al suicidio (si può anche leggere: le organizzazioni dei lavoratori non furono in grado di proporre una nuova razionalità sociale condivisa, una nuova funzione utilità).

Da ultimo tre questioni.
La prima. Sono stato indotto a scrivere quanto sopra anche dal fatto che nelle parole di molti commentatori, più o meno esplicitamente, si faceva riferimento quale causa del disastro, al supposto fanatismo dei fedeli mussulmani. Dicendola in oxfordiano stretto: una colossale cazzata figlia del pregiudizio razzista e dell’ideologia dell’esclusione.

La seconda. Ma se i guardiani della Mecca avessero utilizzato l’equazione del panico avrebbero potuto prevedere e prevenire il disastro? E’ difficile dirlo, nel senso che l’equazione del panico è finora ragionevolmente corretta per insiemi di migliaia di individui, ma non è detto che la sua validità si estenda a centinaia di migliaia e/o milioni di persone.

La terza. Uno dei sensi della ricerca che ho tentato di raccontare è stato così proposto da A. Bazzani, uno degli autori dell’equazione: forse in un futuro non troppo lontano la Fisica della Città o dei Sistemi Sociali potrebbe diventare la Psicostoriografia, ovvero quella scienza descritta da Asimov come “la quintessenza della sociologia, la scienza del comportamento umano ridotto a equazioni matematiche”. Equazioni stocastiche e/o statistiche, sottese dalla teoria delle probabilità.