di Gabriele Battaglia, da Pechino, tratto da ChinaFiles
Tu Youyou, 84 anni, ha vinto il premio Nobel per la medicina ex aequo con l’irlandese William Campbell e il giapponese Satoshi Omura. Il merito della scienziata cinese consiste nella scoperta dell’artemisinina, un farmaco che ha ridotto in modo significativo il tasso di mortalità per i pazienti affetti dai malaria.
“Ho appreso la notizia dal telegiornale. Il premio è un po’ inaspettato, ma non sono del tutto sorpresa. Non è un mio successo personale, ma un premio a tutti gli scienziati cinesi. Abbiamo lavorato insieme per decenni, quindi il premio non dovrebbe essere una sorpresa”.
Modestia e orgoglio patrio. Così, la signora Tu ha commentato a caldo la conquista del Nobel per la medicina.
Nata nel 1930 a Ningbo, descritta come frugale e gran lavoratrice, in patria la scienziata non è però amata da tutti. Un’equipe di studiosi del Guangdong l’ha criticata in passato per non avere riconosciuto il loro contributo nella scoperta dell’artemisinina, il farmaco anti malarico; e, misteriosamente, Tu non fa parte dell’Accademia delle Scienze.
Questo Nobel è tuttavia estremamente importante per la Cina.
Prima di tutto, perché si aggiunge a quello di Mo Yan per la letteratura, di tre anni fa, ma è il primo Nobel cinese per una scienza esatta. Soddisfa così un desiderio che era divenuto quasi ossessivo per la Cina e il suo establishment, che verso il Nobel hanno un rapporto di amore-odio: da un lato vogliono vedersi riconosciuto il proprio nuovo status di potenza emergente, anche in termini culturali e scientifici; dall’altro, però, dopo i casi del Dalai Lama e di Lu Xiaobo, vedono nel Nobel – soprattutto quello per la pace – uno strumento della propaganda occidentale per attaccare la Cina stessa.
Il secondo motivo per cui questo Nobel è importante per la Cina è che la vincitrice ha scoperto l’artemisinina facendo ricerche sulle erbe, secondo i criteri della medicina tradizionale cinese. Lei stessa ha dichiarato che per trovare il metodo di estrazione a freddo dell’artemisinina dalla artemisia – una pianta originaria della regione cinese dell’Hunan – ha fatto riferimento a un testo classico. Il premier Li Keqiang ha immediatamente salutato il premio come “un grande contributo della medicina tradizionale cinese alla causa dell’umanità”.
Infine, Tu non è espatriata in qualche istituto universitario occidentale. Ha sempre studiato in Cina e vive con il marito nel centralissimo quartiere di Dongcheng, a Pechino; non è quindi assimilabile al semi-ignorato (in Cina) Gao Xinjian, che vinse il Nobel per la letteratura nel 2000 da sino-francese, culturalmente molto più transalpino che suddito del Celeste Impero.
Tu Youyou è quindi profondamente legata al filo lungo della cultura cinese, alla sua singolarità, e il Nobel è percepito come un riconoscimento alla Cina nel suo essere proprio “Cina”.
Con tanto di storia tribolata alle spalle.
La donna iniziò infatti le proprie ricerche nei giorni difficili della Rivoluzione Culturale, quando gli scienziati erano considerati una delle nove categorie “nere”, dei “nemici di classe”. In quegli anni, i principali trattamenti per la malaria erano la clorochina e il chinino, che si stavano però rivelando sempre più inefficaci.
Nel 1967, Mao Zedong e Zhou Enlai avviarono quindi in gran segreto il “progetto 523” per eradicare la malaria nelle regioni meridionali della Cina e in Vietnam, dove la malattia ammazzava più vietcong dei soldati Usa.
Tu fu spedita nell’isola meridionale e tropicale di Hainan dove, con la sua equipe, sperimentò 380 estratti da 2mila ricette tradizionali e alla fine scoprì la qinghaosu – l’artemisinina – in seguito ammessa nel catalogo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La signora Tu e il suo Nobel sono quindi anche un simbolo di quella caratteristica così cinese che chiamiamo resilienza: la capacità di trovare nuova forza e ripartire anche in tempi grami.