La guerra per Gerusalemme

La città è teatro di una lotta casa per casa, strada per strada, per appropriarsi del futuro

di Paola Caridi, tratto dal suo blog InvisibleArabs

4 ottobre 2015

“Ma J. ancora non arriva…”

“Aspettiamo ancora un poco, prima di ordinare la pizza. Magari è per strada.”

“Guarda che ti squilla il telefonino. Rispondi, habibi”

“Ehi, J., guarda che stiamo aspettando te. Ti muovi? Come non puoi! Mi avevi detto che saresti venuto… Come? No, non ci credo… Fammi sapere, vedi se ci riesci”.

I bambini avevano suppergiù 11 anni. Amici e compagni di classe. Dall’inizio. Compleanni da festeggiare tutti assieme, in pizzeria. E tutti erano arrivati. Tutti meno J.

Ma come? Proprio J? Uno dei più cari amici del festeggiato?

No. J. non è arrivato in pizzeria. Bambino palestinese, J. Viveva a Issawiya, e quella sera – cinque anni fa – non ha potuto lasciare il suo quartiere. I suoi genitori non hanno potuto accompagnarlo in macchina alla pizzeria che si trovava vicino alle antiche Mura di Solimano.

Il loro quartiere era stato bloccato dalla polizia israeliana. Issawiya, Gerusalemme est, proprio alle spalle dell’università ebraica. Distanza dalla Città Vecchia: forse due chilometri in linea d’aria. Da Issaiwya, da anni, si esce a singhiozzo, perché è uno di quei quartieri della cintura attorno alla Città Vecchia in cui si concentra, da anni, la battaglia per Gerusalemme. Coloni israeliani contro palestinesi, battaglia per le case, per le proprietà immobiliari, gli insediamenti dei coloni approvati dai vari governi israeliani che si sono succeduti.

Quasi nessuno di voi, lettori, avrà sentito nominare Issawiya, Ras al Amud, Silwan. Nomi, luoghi, abitanti. Questa è Gerusalemme. La Gerusalemme che i pellegrini, i turisti, spesso anche i politici non vedono. Eppure è lì che si concentra la guerra per Gerusalemme. La guerra attuale, l’ennesima guerra che la città vede nelle sue migliaia di anni di esistenza.

È una guerra iniziata in sordina da anni. E nelle scorse settimane ha avuto una fiammata pericolosissima, la fiammata sulla Spianata delle Moschee: la visita degli israeliani della destra radicale e ortodossa sulla Spianata, l’intervento in massa della polizia israeliana, i raid dentro la moschea di Al Aqsa, gli scontri con i palestinesi, uomini e donne. La fiammata è stata una miccia, una vera e propria minaccia in un terreno in cui la tensione è aumentata a dismisura nel corso degli anni.

L’attentato di ieri sera in Città Vecchia è dentro questa sequenza. Non è un fulmine a ciel sereno. Un ragazzo palestinese di 19 anni parte da un quartiere-paese accanto a Ramallah, una ventina di chilometri di distanza, un Muro di separazione in mezzo, arriva a Gerusalemme e accoltella due ultraortodossi. Li uccide. Ferisce un bambino e una donna. Arriva la polizia e lo uccide. La notte centinaia di israeliani della destra percorrono le strade dentro e attorno alla Città Vecchia. Urlano “Morte agli arabi”.

Viene ucciso un altro ragazzo palestinese di 19 anni, viene da Issawiya. Le autorità dicono che ha accoltellato un israeliano. La versione della famiglia di Fadil Alwan è diversa. Il filmato che circola su Internet è terribile, la registrazione delle conversazioni è agghiacciante. Uccisione a sangue freddo. Il ragazzo cade a terra. Morto.

La catena dell’odio, che esisteva e covava, è ora uscita dal vaso di Pandora. La guerra per Gerusalemme è in corso. Nessuno può dire che non sapeva.

Per anni, i politici e le diplomazie hanno nascosto il dossier Gerusalemme dentro un cassetto. Ora è fatti, sangue, morti. Per chi e per cosa?

Se ne volete sapere di più, capire le strade e le questioni immobiliari: Gerusalemme senza Dio. Ritratto di una città crudele (Feltrinelli 2013)