di Alice Bellini
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
Colui che riflette prima
Nacque un giorno Prometeo, Titano il cui nome significava «colui che riflette prima». Gli diedero questo nome come buon auspicio alle sue azioni e alle sue decisioni.
Crebbe Prometeo, attorniato da fratelli, sorelle e altri divini amici, fino a diventare un giovane bello, sveglio e, a differenza dei suoi fratelli, umile e poco interessato al potere. Quello che gli interessava più di ogni altra cosa era pensare con la propria testa e aiutare gli altri con le sue idee e le sue riflessioni.
Data la sua grande capacità creativa e la sua spiccata propensione al ragionamento e alla giustizia, Zeus lo incaricò di creare l’uomo.
Così, Prometeo prese del fango e lo modellò fino a farlo diventare un corpo atletico e funzionale. Poi lo animò col fuoco, per ricordare ad ogni essere umano che il corpo è poltiglia, senza la luce del pensiero e il calore della passione.
Prometeo prese molto a cuore quelle sue creazioni che, per quanto imperfette, sembravano così metaforiche del miglioramento a cui potevano condurre. Era infatti l’imperfezione il primo motore per la creatività e il ragionamento. Per far tesoro del loro fuoco e dei loro sbagli, Prometeo donò agli umani intelligenza e memoria, così che potessero ricordarsi dei loro errori e delle loro mancanze e trasformarli sapientemente in qualcosa di buono e positivo.
Ma Zeus, troppo intimorito da quella creazione dal così grande potenziale, decise di distruggerla. Si sentiva minacciato da tutta quell’intelligenza e quella possibilità d’inventare, migliorare e amare.
Così, tolse il fuoco da quei corpi e lo nascose. Gli uomini piombarono in un freddo profondo, dove il pensiero s’annichiliva e il corpo non aveva che se stesso per sostenersi. Su di esso si focalizzarono, scordandosi cosa fosse quella scintilla che prima li riempiva così tanto e li animava senza sosta. Erano istupiditi, privi di passione, privi di luce e d’amore.
Prometeo, che non poteva sopportare un tale affronto, decise di rubare una fiamma dal carro di Elio e, seppur consapevole delle conseguenze, la portò agli uomini, augurandogli che li conducesse verso la saggezza, la creatività e la luce della mente.
Subito Zeus lo fece incatenare nudo sul punto più alto ed esposto alle intemperie di tutto l’Olimpo. Gli conficcò una colonna nella schiena, che lo tenesse dritto, e gli sguinzagliò contro un’aquila, che ogni giorno gli divorava il fegato, che poi ricresceva ogni notte, causando al titano un infinito supplizio.
Ma ciò che più di tutto faceva soffrire Prometeo erano i suoi occhi, puntati verso gli uomini che lui con tanta premura aveva creato. Giorno dopo giorno, li vedeva ignorare sempre di più quel fuoco che lui con tanto sacrificio gli aveva portato. Pareva non sapessero più come metterselo dentro. Lo usavano, e con esso producevano magnifiche cose e deliziose pietanze, ma parevano non riuscire o non voler più utilizzarlo per illuminare il loro cuore e la loro mente. Finché non cominciarono ad impiegarlo per distruggersi a vicenda, mentre il fango dei loro corpi s’inaridiva sempre più.
Si chiedeva Prometeo se prima o poi quella fiaccola sarebbe servita a qualcosa.
Forse, prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a dare un senso a quel suo eterno tormento, ricordando agli uomini a cosa servisse davvero il fuoco e ad illuminare di nuovo le loro menti.
Non si pentì nemmeno per un momento, il nostro Prometeo, di quella sua creazione. Qualcuno potrebbe dire che ci si rose parecchio il fegato, ma la sua speranza continuò a brillare, come quella scintilla che lui stesso aveva rubato, nella convinzione che un giorno un incendio d’intelletto e di animi avrebbe infuocato il mondo, facendolo brillare più dello stesso sole.