di Christian Elia
La crisi economica, scoppiata negli Usa nel 2008 e arrivata in Europa dopo il 2010, prima o poi, verrà raccontata anche dal punto di vista di un operaio. Perché della finanza, delle banche, dell’austerity è stato detto e scritto tutto. E tanto si è scritto anche delle conseguenze sulla società.
Quello che manca è una narrazione che renda anche l’idea del dramma che rappresenta non solo la perdita del lavoro, ma quel trauma dell’espulsione da un luogo fisico, fabbrica o posto di lavoro, che alla fine appartiene a chi lo abita ogni giorno, per anni.
Quelle che Angelo Mastrandrea ha raccolto sono storie di lavoratori. In giro per l’Italia e non solo, nel cuore del senso di frustrazione e dell’impotenza di coloro che hanno sempre e solo fatto quello che dovevano, senza avere mai voce in capitolo nelle scelte aziendali, ma pagaando poi il prezzo di scelte di altri.
Lavoro senza padroni, Baldini e Castoldi editore, però, è un libro che ha voluto guardare oltre il dolore. Un’antologia, quella di Angelo Mastrandrea, che raccoglie (“scarpinando lungo le strade della crisi”) esempi di riscossa, per dire che è possibile e per dire allo stesso tempo che potrebbe essere questo un modo di cambiare un sistema che altrimenti è destinato a passare da una crisi a un’altra. Sulla pelle dei lavoratori.
Partendo dal modello di quanto accaduto in Argentina, dopo il famigerato fracaso, il collasso di una classe politico – economica che trascinò il paese sull’orlo della disperazione, Mastrandrea arriva a raccontare che in realtà una legge che permette il recupero delle imprese da parte dei lavoratori in Italia esiste da molto prima.
E’ la legge Marcora, dal nome dell’ex ministro dell’Industria. Pochi la conoscono, ma in Italia orami sono tanti gli esempi di chi si è dato da fare, investendo nel luogo di lavoro indennizzi e liquidazioni, per ripartire e salvare il lavoro.
Dalla Ri-Maflow alle Officine Zero, passando per la Fenix Pharma. Ma ci sono esempi in Grecia, con la Vio.Me di Salonicco, o in Turchia, con la Ozgur Kasova. E ci hanno provato negli Usa e altrove. E ci sono riusciti in Francia. Storie di lotta, storie di resistenza.
Il ‘workers buyout’ è una possibilità. Non è l’unica, non può essere sempre la soluzione. Ma è un segnale bello e forte, di emancipazione dei lavoratori, che nel 2015 si ritrovano a lottare per diritti che oramai sembravano essere acquisiti in cento anni di lotte, e che sono invece spariti uno a uno, come molte fabbriche che dalla sera alla mattina venivano delocalizzate verso tasse che mantenessero i profitti alti. E’ tempo di reagire.