Hotspot, espulsioni: la fabbrica degli irregolari

Gli unici a festeggiare nei prossimi mesi saranno le organizzazioni criminali. Che troveranno centinaia e centinaia di persone irregolari

di Ilaria Roberta Sesana

Il 9 ottobre scorso un aereo della Guardia di Finanza è decollato da Fiumicino: a bordo 19 ragazzi eritrei da poco sbarcati in Italia e che sono stati trasferiti in Svezia nell’ambito del piano di ricollocamento europeo. Ad assistere al decollo, tra gli altri, il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha definito l’evento una “vittoria per l’Italia e per l’Unione europea”. Quasi una favola a lieto fine per l’Italia che, dopo mesi di aspro dibattito all’interno delle istituzioni europee, è riuscita a ottenere la solidarietà e un aiuto concreto da parte degli altri Paesi del Vecchio Continente. Eppure, la realtà non è così rosea come i comunicati stampa del ministero vorrebbero far credere.

Negli stessi giorni in cui i giovani eritrei decollavano per la Svezia, ad Agrigento gli operatori della Caritas hanno incontrato per strada una trentina di giovani provenienti da Mali, Guinea e Costa d’Avorio. Tutti erano sbarcati da poco a Porto Empedocle (dopo essere stati trasferiti da Lampedusa) e in mano avevano un provvedimento di “respingimento con accompagnamento alla frontiera”. Al termine di un rapidissimo colloquio, nessuno di loro aveva avuto la possibilità di presentare domanda d’asilo e – stando a quanto riferito – non avevano nemmeno incontrato gli operatori delle organizzazioni umanitarie presenti. Assieme al foglio di via hanno ricevuto solo un’indicazione: raggiungere l’aeroporto di Fiumicino entro sette giorni e imbarcarsi sul primo volo diretto verso il proprio Paese d’origine. Scaduto il termine dei sette giorni, sono diventati irregolari.

A Pozzallo (Ragusa) Medici senza Frontiere ha documentato a partire dal 24 settembre l’allontanamento dal Centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) di oltre cento migranti “tra cui anche donne, di cui una incinta, due minori e diverse persone che necessitavano trattamento medico”, denuncia Stefano Di Carlo, capo missione di MSF in Italia.

A Siracusa, l’avvocato Carla Trommino (referente Asgi) ha raccolto più di cento casi di “respingimenti differiti”. Si tratta di migranti provenienti da tutta l’Africa occidentale – Burkina Faso, Mali, Gambia, Senegal, Nigeria, Togo, Costa D’Avorio e Guinea che “sono stati buttati in mezzo alla strada senza nulla, a parte l’intimazione a lasciare il territorio nazionale dalla frontiera di Fiumicino”, denuncia Trommino.

In Sicilia sta muovendo i primi passi il meccanismo degli “hotspot” voluti dall’Unione Europea quale contropartita dall’Italia in cambio della “relocation” di 40mila migranti in due anni. Al momento l’unico ufficialmente attivo è quello di Lampedusa (altri quattro dovrebbero aprire i battenti in Sicilia e uno in Puglia).

In base a quanto previsto da una circolare del ministero dell’Interno il loro compito è quello di garantire entro 48 ore dallo sbarco le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione, accertamento di eventuali vulnerabilità, foto-segnalamento e interviste mirate per cogliere informazioni utili per individuare i trafficanti. Un compito che viene affidato a task-force congiunte dove operano anche funzionari di Frontex, dell’Easo (agenzia europea per l’asilo) e dell’Europol.

All’interno degli hotspot si separano i buoni dai cattivi, i sommersi dai salvati, i profughi dai cosiddetti “migranti economici”. Il tutto in sole 48 ore. Con una procedura che – visti i tempi ristretti – non può che essere sommaria.

Hanno diritto al ricollocamento solo i migranti “in clear need of protection” ovvero quelli provenienti da Siria, Iraq, Eritrea e Repubblica Centrafricana. Nazionalità che, in base alle statistiche Eurostat, hanno un tasso medio di riconoscimento della protezione internazionale pari o superiore al 75%”.

Per tutti gli altri, si spalanca l’abisso dell’incertezza. Sulla carta tutti hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale eppure – in base alle testimonianze raccolte da diverse associazioni – così non avviene. “Non vengono fornite informazioni corrette. Ai migranti appena sbarcati si chiede, genericamente, se vogliono lavorare e tutti rispondono di sì perché vogliono emanciparsi. E se lo fanno vengono bollati come migranti economici, che quindi non hanno diritto al sistema di accoglienza e protezione”, spiega Fulvio Vassallo Paleologo, docente universitario ed esperto di diritto d’asilo.

Il nuovo sistema d’accoglienza italiano muove i primi passi verso una direzione poco incoraggiante. Per chi non presenta domanda d’asilo, o rifiuta di farsi identificare, o ancora chi ha avuto un decreto di respingimento con accompagnamento alla frontiera senza nemmeno poter chiedere asilo si spalancano le porte della clandestinità e dei Centri di identificazione ed espulsione.

Difficile immaginare che un ventenne di origine gambiana o nigeriana decida di tornare nel Paese d’origine di propria spontanea volontà. E poi, con quali soldi? Con quali documenti?

Gli unici a festeggiare nei prossimi mesi saranno le organizzazioni criminali. Che troveranno centinaia e centinaia di persone irregolari, prive di ogni diritto e quindi facilmente ricattabili da poter sfruttare a proprio piacimento.