di Flavia Zarba, tratto da IRPI
“I dipendenti e i collaboratori che intendono segnalare situazioni di illecito (fatti di corruzione ed altri reati contro la pubblica amministrazione, fatti di supposto danno erariale o altri illeciti amministrativi) di cui sono venuti a conoscenza nell’amministrazione debbono utilizzare questo modello”.
Così viene presentato il modulo di segnalazione di un illecito introdotto, nel nostro ordinamento, già da qualche anno, ma quanti sanno di che cosa si tratta?
Quello che è comunemente chiamato “whistleblowing” (dall’inglese soffiatore nel fischietto) è uno strumento legale, già collaudato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che si prefigge l’obiettivo di informare tempestivamente eventuali tipologie di rischio: dai pericoli sul luogo di lavoro alle frodi all’interno delle aziende, dal pericolo di un danno ambientale ad una semplice negligenza medica, fino ad arrivare, addirittura, ai casi più gravi casi di corruzione o concussione.
Tramite una piattaforma creata ad hoc, tutti i cittadini possono segnalare e denunciare dialogando in modo anonimo. Iniziano col rispondere a un questionario con domande obbligatorie e facoltative. Dopo la segnalazione ricevono un codice identificativo, attraverso il quale possono riaccedere alla propria segnalazione, controllare le risposte degli operatori ed allegare nuovi documenti.
Si tratta di un servizio assolutamente confidenziale e gratuito con lo scopo di far emergere possibili casi di corruzione e proteggere i segnalanti. Lo spiegava Giorgio Fraschini, responsabile per il whistleblowing del servizio Allerta Anticorruzione di Transparency International Italia, una piattaforma (aperta nell’ottobre 2014) per gestire le segnalazioni di irregolarità che conta, ad oggi, più di 134 segnalazioni.
Ogni volta che ci si trovi dinnanzi ad un grosso scandalo, non si fa che ribadire che l’Italia è soggetta al rispetto di innumerevoli obblighi internazionali e che esistano strumenti posti a protezione della correttezza, dell’imparzialità e del buon andamento. Si tratta, in realtà, di una tutela solo “astratta” formulata dal Piano Nazionale Anticorruzione che ha previsto, in capo all’amministrazione, la predisposiziome di sistemi di tutela della riservatezza dell’identità del segnalante, anche dopo segnalazione.
Identità che non potrà essere in alcun modo rivelata “a meno che la sua conoscenza non sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato”. Ma, nonostante la ferrea protezione dell’anonimato, capita, più di frequente, che alla denuncia si preferisca il silenzio e che i dipendenti di una azienda, indifferentemente di piccole, medie o grandi dimensioni, non diano voce alle proprie lamentele o dubbi, preferendo circoscrivere il tutto ad una chiacchiera di corridoio aziendale per paura di ritorsioni da parte dei coinvolti o di un licenziamento.
In Italia il whistleblowing è disciplinato? No. Manca una legge che si occupi di definire il whistleblowing e, di conseguenza, manca anche la tutela legale per i denuncianti. Tuttavia il 54-bis del decreto legislativo del 30 marzo del 2001, num. 165, continua a farci sognare in un cambiamento, prevedendo una “tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.
Si tratta di una protezione contro le ritorsioni da parte di colleghi o superiori per il lavoratore che abbia segnalato la commissione di un reato, nei casi in cui questi non commetta diffamazione, calunnia o un altro danno ingiusto. Ma forse, il vero problema resta, ancor prima, in una società che, anziché minacciare chi denuncia, dovrebbe redarguire chi resta in silenzio.