Questo articolo è stato pubblicato il 2 novembre del 2013. Lo riproponiamo per lo speciale Pasolini in occasione del quarantesimo anniversario dall’omicidio, 2 novembre 2015.
Di Enrico Sibilla
Tu non lo sai, Pier Paolo, ma una mattina di luglio il cuore grosso di Laura ha ceduto, sotto il suo corpo trascurato ed espanso di grasso e di collera. Io avevo appena saputo che sarei diventato padre di nuovo e tu eri morto da quasi trent’anni.
Dimmi, tu che l’avevi immaginata vecchia e morta, la tua “pupattola bionda”, la serva che galleggia santa nel cielo freddo di Sant’Angelo, puoi dire davvero che ora nella sua tomba -come scrivesti- “si sente bambina”?
No, non puoi dirlo, Pier Paolo.
Perché appunto, lo ripeto in punta di dita, tu non sei più.
Tu, “profeta” che tutto aveva visto e previsto, quante altre cose non sai?
Bada, Pier Paolo: non è quello che avresti potuto intuire -Moro, Ustica, Bologna, Genova, l’11 settembre, Berlusconi, il Grande Fratello- ciò di cui parlo. No, Pier Paolo: da te voglio sapere cosa conosci dell’AIDS che ha consumato in solitudine il tuo amico discepolo Dario. E cosa hai visto della magrezza e dell’insonnia che hanno spento Maria, la tua impossibile amata. E cosa sai della quiete con cui Roberto ha chiuso la storia della sua libreria in via Castiglione. E di Bepi, il mio amico che ha lasciato il mondo attraverso una trave.
Niente ne sai, Pier Paolo, niente ne sai.
Così come sono certo che non immagini di essere il cristo di una bestemmia perpetua. Ogni giorno sei replicato a mozziconi nelle bacheche di Facebook (cosa sai tu di Facebook, Pier Paolo?), appari in sequenze tagliate e montate che ti rendono bello da guardare e comodo da fraintendere e veloce da superare: le punte dei tuoi capelli tinti sparse a ventaglio dal vento di Sabaudia, le tue pesate parole in bianco e nero sono ridotte a spezzoni di pochi secondi e affiancate introdotte seguite da immagini di birre automobili mobili svedesi. E, come cornice: il tifo da stadio i cuoricini le faccette che ridono le ingiurie gli insulti. Sei ancora il frocio, Pier Paolo. Non illuderti: per molti sei rimasto il pedofilo, il comunista, quello che è morto come meritava.
Per altri invece sei un santo, o – peggio – un santino, Pier Paolo; sei la reliquia in perenne tournée da una canonica all’altra. Come la palla che nelle feste i bambini bendati si passano veloci per paura che scoppi la bomba, sei diventato uno dei milioni di oggetti della viralità oscena di un popolo che ti riduce ad aforismi e videoclip per archiviarti come un incredibile veggente che aveva visto tutto quarant’anni prima.
Ma tu non avevi visto tutto, Pier Paolo. “Io so”, scrivesti un giorno, e tutti noi ti abbiamo voluto credere. Ma non era vero. Tu certe cose non le potevi nemmeno immaginare; e -credimi-, se non ti avessero ammazzato a bastonate e retromarce, sarei tentato di dire che questa sia stata la tua fortuna, la tua benedizione.
Io non mi illudo, Pier Paolo: di questo popolo osceno anch’io faccio parte, e non conta ch’io mi emozioni mi agiti mi commuova quando vedo la tua faccia geometrica o ascolto la tua voce agrodolce. Il mio è solo un riflesso. Io sono un cane che sbava al trillar di un campanello, Pier Paolo. E, come la bestia di Pavlov, non sono un animale libero e gioioso, ma ho una guancia perforata da un tubo che raccoglie la mia saliva e misura la mia eccitazione.
Io sono come tutti gli altri, Pier Paolo, e benché io non lo voglia anche la mia eccitazione è viziosa e si nutre, non solo dei tuoi film delle tue poesie dei tuoi romanzi dei tuoi scritti corsari delle tue lettere luterane del caos, ma anche del mistero della tua morte, delle tue presunte profezie sociopolitiche, dei tuoi vizi, della tua immagine così impeccabile che nemmeno una stylist.
E del tuo corpo. Ecco un’altra cosa che ignori: ce l’hanno fatto vedere, il tuo cadavere straziato, Pier Paolo. In certe terribili foto -trafugate e pubblicate per profanare la poesia che eri e sempre sarai- tu non sei il redentore Guevara deposto come in un Mantegna: sei una marionetta sul fondo di una discarica che non può nemmeno guardare le nuvole perché non ha più una faccia.
Cosa sai della tua morte, Pier Paolo? Da quasi quarant’anni, con la superficialità ignorante e supponente che avevi -quella sì- descritto e condannato, fingiamo periodicamente di non accontentarci delle versioni ufficiali, e per qualche giorno -di solito in questa settimana dell’anno- smettiamo i panni dei commissari tecnici della Nazionale e indossiamo quelli degli ispettori di Polizia. Dura poco, per la fortuna della tua memoria, ma dentro ci mettiamo di tutto, perché con te tutto sembra verosimile: il puttanello Pelosi che si trasforma in bestia omicida, il commando punitivo, Petrolio e Mattei, la pista nera, la vendetta borghese, i servizi segreti, la messa in scena di una morte da te stesso voluta e annunciata.
Be’, chissenefrega, Pier Paolo. Per me, Enrico Sibilla, quello che conta davvero è ciò che tu già sapevi di me mentre morivi e io nascevo.
Eccolo finalmente quello che sai, e hai sempre saputo, Pier Paolo.
E cioè che io, sì anche io mio malgrado, come tutti gli altri, nascendo e crescendo in questo Paese corrotto sarei diventato un uomo medio. Cioè, il tuo peggior nemico.
Anche io sì, lo vedo così bene oggi e fa così male, anche io sono solo un uomo medio, sono “un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista” come hai detto bene tu, Pier Paolo. Lo sono perché amandoti, ti temo e ti cerco, ti respingo e ti vorrei tutto per me. Mi sono fatto inoculare la voracità del piccolo-borghese, che si gonfia di gelosia di fame di esclusione degli altri, ma in realtà non esisto se non servo a qualcun altro, a qualcosa. Io sono carne da cannone affamata di carne da cannone.
Io sono un uomo medio perché dio l’ho rigettato, ma sono così schiavo delle sue suggestioni da fingere di parlare con te, Pier Paolo, come si fa con un amico o un nemico che è vivo, mentre sei qualcosa che non può né ascoltarmi né rispondermi perché non c’è più, è polvere atomica dispersa nell’entropia.
Io sono un uomo medio perché di te, Pier Paolo, che hai scritto un’unica fallace monumentale opera fatta di lungometraggi poesie romanzi disegni articoli saggi che nessuno più legge guarda ascolta davvero, io raccolgo e colleziono ogni cosa, ma alla fine mi accontento di guardare il sorriso che hai nel poster che ho appeso in salotto come fanno i borghesi con i Sironi o gli adolescenti con le rockstar suicide.
Io sono un uomo medio perché in fondo mi infastidisce e mi urta riconoscere quanto tu sia stato bravo a capire quelli come me, Pier Paolo, mentre io un essere con la tua complessità non saprei dove iniziare a immaginarlo.
Io sono un uomo medio perché, nelle foto che Pedriali ti scattò pochi giorni prima che ti macellassero e in cui ti offri fieramente nudo all’obiettivo, non riesco a non soffermarmi sul tuo cazzo, Pier Paolo. Lo faccio perché sono incapace di cogliere l’armonia naturale del tuo corpo con ciò che lo circonda. Non mi attira e non mi repelle, quel tuo organo esposto: è semplicemente la cosa più semplice da fissare, quella che domanda lo sforzo minore. Tutto il resto richiederebbe empatia con una persona che sta per morire, e forse lo sa. Per noi uomini medi, quella con la morte è una prossimità insostenibile. Meglio un cazzo, allora, Pier Paolo, a costo di passare per froci.
Io sono un uomo medio perché tra quelle stesse foto la mia preferita è l’ultima, quella in cui non ci sei. Si vede la tua casa di Torre di Chia, illuminata da dentro ché fuori è già notte, e gli alberi del tuo giardino sono scheletri dalle chiome sfocate. Troppo facile dire che quel giardino è l’Italia, buia e sola perché orfana di te. Troppo facile, Pier Paolo. Se sono un uomo medio è anche perché mi manca l’onestà di ammettere che in quella foto, in quel giardino, vorrei vederci me stesso.
Perché certi giorni vorrei tu non fossi mai esistito, Pier Paolo. Tutto sarebbe (stato) più facile. Perché chi ti tocca muore lentamente, come con la polvere del seme del ricino. E fortunato e salvo è dunque chi ti ignora e non ti ha mai conosciuto.
Ma questo tu non lo sai, né puoi saperlo.
Perché non sei più; e tu che a differenza di me sei stato intensamente vivo dentro la vita, ora sei compiutamente morto dentro la morte.
E allora che ti sia almeno lieve la terra, Pier Paolo.
Ché non ti può essere davvero riconoscente uno come me, un uomo medio, il tuo nemico.
Ti sia almeno lieve la terra, Pier Paolo.
Ti sia lieve la terra in cui anch’io ti ho sepolto.