di Sara Lucaroni
27 anni, originario di Mogadiscio, e una professione, il giornalismo, che lo ha messo faccia a faccia con la furia violenta dei terroristi di Al Shabaab, che prima lo volevano reclutare, poi lo hanno minacciato di morte perchè dimenticasse la sua vocazione: raccontare la verità. Ahmed Nuur Ibrahim racconta la sua storia tutta d’un fiato, mentre ricorda le scene, le persone, i luoghi del viaggio dalla Somalia a Malta, un’odissea durata due anni.
Dal suo piccolo ufficio di Hamrun, quartiere a ridosso della zona portuale di La Valletta, gestisce le attività della sua ong, la Media African Association Malta, fondata dopo 5 mesi passati al centro di detenzione di Hal Far, in attesa delle procedure per ottenere uno status. Dall’esordio tra i media maltesi, avvenuto nel dicembre 2014, ad oggi, la sua pagina Facebook conta 2.700 iscritti e il portale web oltre 6.000 contatti. Ha aperto un canale You Tube ma sopratutto una radio, VoM- Voice of Migrants, il mezzo col quale lavora da quando aveva 19 anni.
“Siamo stati di sostegno a nuove associazioni di migranti, come Rete Migranti e dell’Associazione delle donne migranti, formatesi durante la prima fase del nostro progetto. E siamo collaboratori attivi di molte organizzazioni locali. Sia il Governo che gli immigrati ci vedono come un hub attraverso il quale entrare in contatto” – ha spiegato. L’obiettivo finale è informare chi vuol conoscere le cronache del fenomeno migrazione e che soprattutto chiede aiuto: connazionali in cerca di notizie utili e indicazioni sull’integrazione a Malta, e uomini e donne provenieniti da tutto il sub-shaara che cercano informazioni anche sul piano burocratico.
Sul canale uno dei video più cliccati riguarda un impreditore somalo e la sua nuova attività di ristorazione sull’isola. E la protesta contro il razzismo a Gozo di un gruppo di migranti, insieme alle storie e le esperienze di altri migranti. Quello di Ahmed è un progetto nato grazie ad un finaziamento SEE e dell’Ambasciata dgli Stati Uniti a Malta, sostenuto dalla ong SOS Malta e da volontari, simpatizzanti e organizzazioni. Il Ministero per la Famiglia e la Solidaretà Sociale gli ha fornito ad esempio mobilio dismesso e attezzature per la sede.
Ahmed è arrivato nel 2013, in Europa per sfuggire all’organizzazione terroristica islamista che dilania la Somalia dal 2006. Lo ha contattato per unirsi al gruppo, e gli ha ucciso 18 amici e colleghi che come lui si erano rifiutati. Nel 2007 le minacce si fanno sempre più insistenti e su consiglio della madre, fugge a Bosaso, dove diventa corrispondente per la Irin, un’agenzia stampa di Nairobi gestita dall’ONU. Raccontava la guerra e le nefandezze dei terroristi, i quali stavolta gli danno un ultimatum di 24 ore.
E’ l’inizio dell’estate del 2010, decide di lasciare la Somalia per l’Etiopia. “Ci sono molti posti di blocco, li ho passati, ma mi hanno detto che entare in quel paese illegalmente e con l’aggravante della mia professione mi sarebbe costato l’accusa di essere una spia”. Ahmed raggiunge Khartoum, in Sudan. Altro paese in cui la libertà di parola non esiste. “Un giorno ho incontrato un gruppo di somali che volevano attraversare il deserto, si poteva fare per soli 500 dollari. “Siamo partiti, ma in realtà ci hanno rapito. In 26 su un piccolo fuoristrada abbiamo viaggiato per 4 giorni e 4 notti fino al confine tra Chad, Sudan e Libia, dove strazionano molti gruppi di contrabbandieri di paesi diversi. Violentavano, uccidevano picchiavano. 3.500 dollari per entrare in Europa. Mi hanno dato un telefono per chiamare casa e un conto corrente su cui fare il versamento”- racconta.
Ahmed resta prigioniero per un mese, fino a quando sua madre non vende un piccolo terreno. Arriva a Shaba, in Libia. Servono altri 2.500 dollari per proseguire con un altro trafficante, viene chiuso in un appartamento sovraffollato. “Una notte c’erano porte e finestre chiuse. E’ scoppiata una rivolta e con altri sono riuscito a fuggire”. Pagando 500 dollari arriva a Tripoli, dove viene arrestato. Fugge ancora e per ben due volte tenta la traversata verso l’Europa con un’ imbarcazione. Ma durante il primo tentativo, le mareggiate lo trascinano verso la Tunisia, da dove viene espulso in Libia e poi condotto nel carcere di Sabratha. “Un giorno una guardia cercava persone per lavorare in una fattoria. Io ed altri ci siamo finti agricoltori per uscire. Siamo fuggiti, sono tornato a Tripoli e per altri 800 dollari, chiesti ancora in prestito a mia madre, sono partito con una nuova imbarcazione. Ci ha salvati la Marina Maltese”.
Ahmed non sognava l’Europa, ma continuare a fare il lavoro che amava nel suo paese. Oggi sua moglie è riuscita a raggiungerlo e di figli adesso ne ha due. “Siamo nella posizione di vedere le difficoltà e anche di comunicare alle alte sfere che cosa non funziona”- si legge nella nota con cui Ahmed ha tracciato il bilancio di un anno di attivià della MAAM, in occasione del termine del programma di finanziamenti. “Va ricordato che noi non suggeriamo di lasciare il proprio paese a meno che la propia vita non sia sotto concreta minacciata. C’è una visione suggestiva e irreale della “vita in Europa” ,nei villaggi e nelle città africane. La realtà è dura, e i rischi elevati. Questo è stato l’anno in cui il mondo ha scoperto che il Mar Mediterraneo è un cimitero per i migranti. Noi lavoriamo per informali e per la loro integrazione”.