Croazia verso le urne

Nel dibattito pubblico poco spazio alle alternative ai due partiti maggioritari

di Francesca Rolandi

Si avvicinano le elezioni politiche in Croazia, previste per l’8 novembre e inizia a infuriare la campagna elettorale. A rendere più aspro lo scontro è in particolare il non ampio divario che dividerebbe i due maggiori partiti croati, la Comunità democratica (l’HDZ, di centro-destra) e il Partito social-democratico (SPD), attualmente in carica.

Le elezioni presidenziali dell’11 gennaio 2015 avevano messo in luce la disaffezione dell’elettorato rispetto ai socialdemocratici al governo, che pagavano lo scotto di una bassa popolarità del premier Zoran Milanović e della pessima situazione economica che aveva afflitto la Croazia dall’inizio della crisi. Dall’altra parte l’opposizione aveva alzato i toni della tensione populistica, rivolgendosi alle fasce più povere della popolazione, dall’altra aveva incendiato il discorso politico proponendosi, con il suo presidente Tomislav Karamarko, come un’opzione politica ben più a destra di quanto il partito era stato sotto la guida di Jadranka Kosor.

In particolare lo scontro politico è arrivato nei mesi successivi al suo apice con la protesta dei veterani, che avanzavano richieste concrete ma manifestavano anche una radicale opposizione al governo e a tutto quello che poteva essere definito “anti-croato”. L’HDZ si è sempre fatto portavoce delle richieste dei veterani pur rigettando le accuse di manipolarne la protesta.

Con l’approssimarsi delle elezioni, però, il margine delle due coalizioni si è sempre più ristretto, fino a toccare un punto percentuale, con l’SDP sull’onda di uno slancio positivo, provocato da diversi fattori.

Da una parte alcuni risultati economici positivi – in particolare nell’ambito del turismo, per il quale il 2015 è stata un’ottima stagione, e delle esportazioni –, un lieve calo della disoccupazione, che però convivono con una disoccupazione ancora estremamente alta e fasce di povertà ampie che non accennano a restringersi. Le drammatiche condizioni nelle quali vivono alcune categorie tra le maggiormente a rischio, quali i disoccupati o i pensionati, sono testimoniate da una triste immagine ricorrente nelle città croate: quella dei pensionati che frugano nei cassonetti alla ricerca di bottiglie di vetro o plastica da rendere per pochi spiccioli.

A far guadagnare punti positivi al governo sarebbe stata anche la gestione della crisi dei profughi, considerata in genere efficiente e umana, e dell’atteggiamento tenuto sia verso l’Unione Europea che verso i paesi vicini. A questo riguardo, Milanović si è fatto trascinare in uno scontro diplomatico con il premier serbo Vučić, accusato di inondare la Croazia di profughi, durante il quale si è arrivati anche alla chiusura della frontiera.

In questo come in altri casi la carta dell’orgoglio nazionale è stata giocata a diversi livelli, una risposta netta alle accuse di mancanza di patriottismo lanciate dsll’HDZ ma anche un tentativo di captare una parte dell’elettorato indeciso.

Sebbene siano in lizza anche numerosi partiti minori, come la coalizione IDS-PGS- Lista per Fiume, MOST, la lista del sindaco di Zagabria Milan Bandić, il Muro vivo, formazione populista – grillista secondo standard italiani –, la coalizione di centro Josipović-Čačić, OraH, questi attori sono passati velocemente in secondo piano, tanto da dare l’impressione che lo scontro abbia luogo esclusivamente tra i due partiti maggiori.

Così mentre Karamarko promette mille euro per ogni nuovo nato e una lustracija nelle istituzioni e nell’università, per espellere i “nemici” della Croazia e gli “amici” della Jugoslavia, Milanović edulcora i pur magri risultati economici e promette un taglio dei contributi delle pensioni più basse. E nel frattempo i sondaggi si rincorrono sui numeri e la distribuzione dei voti, mentre si fa un gran parlare della campagna elettorale più tesa della storia del giovane stato croato.

Tuttavia, a guardare bene, tutte le elezioni politiche hanno rappresentato nel paese momenti di forte polarizzazione ad eccezione di quelle del 2011. Più che di un voluto abbassamento dei toni, tuttavia, si era trattato di una sconfitta annunciata dell’HDZ, il cui premier Ivo Sanader, pochi mesi prima, era stato arrestato per corruzione mentre tentava di fuggire all’estero.