di Lorenzo Bagnoli, da La Valletta
Le si rompe la voce a metà del suo lungo intervento. Chissà quante volte ha ripetuto quella storia, eppure ancora non riesce a trattenere le lacrime. Elsa Chyroum è attivista di Human Rights Concern Eritrea. Sta parlando dal palco dell’Università di Malta, a poche ore dall’inizio ufficiale del summit.
S’interrompe su un punto preciso: quando sta raccontando che persino mendicare, in Eritrea, è reato. Anche se vivi con dieci dollari al giorno per una famiglia di sei persone e non hai soldi per mettere insieme un pasto. “Non si possono dare aiuti all’Eritrea”, dice.
Fuori La Valletta è blindata. La piccola roccaforte è tornata agli alla sua antica vocazione. Le strade per raggiungere l’Auberge de Castille, sede del summit europeo sull’immigrazione, sono tutte transennate. I 63 capi di Stato – europei e africani – rinchiusi in quelle quattro mura, dovrebbero aprire una nuova stagione della cooperazione Africa-Europa per estirpare all’origine il problema dell’immigrazione. Pia illusione.
Il vertice è solo una cerimonia stantia, una recita mal riuscita. I passaggi più delicati e più problematici sono ancora senza alcuna risposta. Il primo è proprio il coinvolgimento di Paesi canaglia come la dittatura di Asmara nella gestione diretta dei migranti. Come può farlo un Paese in cui le famiglie di chi resta sono costrette a pagare una gabella per ogni figlio che ha lasciato le armi per cercarsi una vita altrove?
Nel valzer di dichiarazioni, monocorde, con cui si chiude la prima giornata di lavori del summit, solo il presidente francese Francois Hollande lancia una stilettata verso il Paese governato da Isaias Afeworki. Lo definisce “un leader senza scrupoli” e chiama l’Europa ad esprimere “il massimo della pressione diplomatica e politica” affinché il regime cambi. “L’Eritrea si sta spopolando”, aggiunge. Paradossale che in un summit organizzato apposta per coinvolgere i Paesi di transito e di origine, alcune delle caselle più importanti restino vuote nelle foto ricordo. Come l’Eritrea, appunto: Afeworki non lascia mai Asmara, come nessuno dei suoi accoliti.
Nemmeno Omar al Bashir, presidente del Sudan, può lasciare Khartoum: potrebbe rischiare il carcere, visto che su di lui pende una condanna del Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità. Il Burkina Faso, presente con una sua delegazione, è un Paese che al momento non ha governo.
Nella lista degli impresentabili, ce n’è uno presente. Si tratta di Ali Bongo Ondimba, figlio dell’ex presid hanno trasformato il Paese ne loro regno. In Europa è arrivato mai un profugo gabonese? Mai. Il Paese però vive una disparità enorme: un terzo dell’1.6 milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà, mentre la piccola elite del presidente vanta ricchezze inestimabili, in conti offshore o segreti.
La polizia francese ha messo i suoi tesori sotto tiro, con un’investigazione che è stata soprannominata Bongoleaks. Eppure siede al summit di La Valletta. E questa volta gli europei non hanno nemmeno l’alibi di dover parlare con i presidenti dei Paesi di partenza. Il Gabon non è nemmeno parte della lista dei 38 Paesi che partecipano ai Processi di Khartoum e Rabat piattaforme di dialogo (la prima lanciata a novembre 2014, la seconda attiva dal 2006).
Le aspettative sul summit, quando mancano poche ore dalla chiusura, vanno ridimensionate. Finora la parte su cui c’è accordo è il principio per cui l’Europa paga e l’Africa, in cambio, si riprende indietro i migranti indesiderati e costruirà centri di transito in Paesi chiave come il Niger. Questo è quello che prevede l’Africa Emergency Trust Fund, un fondo fiduciario da 1,8 miliardi di euro che servirà allo scopo.
Questo è ciò che si sa finora, mentre restano nell’ombra i meccanismi attraverso cui attivarlo e le rendicontazioni sulle spese effettuate.
La voce più critica è quella di Sarah Tesorieri, responsabile dell’advocacy sulle politiche migratorie per Oxfam International: “Lo hanno chiamato fondo di emergenza. Ma di chi è questa emergenza? – si chiede – Il summit ha un approccio eurocentrico che ha trasformato il problema dell’immigrazione in una questione securitaria, dove ciò che conta è mantenere protetti i confini”. Nulla di più miope. E intanto, l’Eritrea, seppur non al summit, continua ad essere parte di questa partita di giro, in cui a rimetterci sono sempre i migranti.