Mabrouk

Un 16enne rapito e ucciso a Sidi Bouzid, in Tunisia, per difendere il gregge da miliziani

di Clara Capelli, da Tunisi

Si chiamava Mabrouk Soltani e aveva 16 anni. È morto poche ore prima del tragico massacro di Parigi, ucciso a Jbel Mghila, vicino Jelma, nel governatorato della tristemente famosa Sidi Bouzid, la città simbolo delle sollevazioni che nel 2011 hanno cambiato la faccia di Nord Africa e Medio Oriente e di tutte le speranze di rinnovamento tradite e frustrate.

Mabrouk faceva il pastore, in una delle tante zone depresse dell’interno del Paese. La lotteria della fortuna non gli aveva certo dato un biglietto vincente, a lui come a tanti tunisini di queste regioni. Le alternative e le possibilità di aggregazione e svago sono poche in questi luoghi poveri, praticamente privi di servizi, mal coperti dai trasporti.

Ci si arrabatta, proprio come faceva Mohammed Bouazizi con il suo carretto di frutta e ortaggi prima di darsi fuoco. Oppure si può scegliere la più lucrosa attività del contrabbando. Facile lasciarsi incantare dalle sirene del jihadismo armato, in Tunisia o via verso la Siria e l’Iraq. Le alture di Jelma sono zona militare, in questa area gruppi terroristi – nel suo vuoto istituzionale – hanno trovato terreno facile.

Le notizie sull’accaduto sono poche e non è facile comprendere cosa sia davvero successo in una terra lontana non solo per i chilometri che la separano dalla capitale. Si sa che Mabrouk è stato sequestrato mentre era a guardia del suo gregge e decapitato, la sua testa affidata a un altro ragazzino che era con lui perché la consegnasse alla famiglia. Sarebbero ancora in corso le ricerche del corpo di Mabrouk. La versione più diffusa sui media è che il ragazzo si sarebbe opposto al tentativo di tre terroristi di appropriarsi di alcune pecore, unica ricchezza della sua famiglia.

Mabrouk aveva 16 anni e faceva il pastore. Non era al ristorante, non era a un concerto, non era allo stadio. La sua storia non trova posto tra le grida allo scontro di civiltà esplose un po’ ovunque sulla Rete, con i cori razzisti e le prediche di compiaciuti intellettuali convinti che la Cultura finisca con la sponda nord del Mediterraneo. La sua morte si perde fra gli orrori di questo 2015, nell’onda del lutto per le vittime di Parigi. Qui e là, timidamente, in Tunisia qualche post è spuntato su FB per commemorare anche Mabrouk, mescolandosi ai commenti sulla strage parigina.

Suona come una ingenua banalità per chi conosce e frequenta il Medio Oriente e il Nord Africa, ma questo triste episodio ci bisbiglia di come questa violenza sia trasversale a tutte le latitudini: anche Beirut e Baghdad – solo per citare i casi più recenti – piangono i loro morti. E a tutte le latitudini questa violenza pone sfide e interrogativi.

Allah yarhamo. Se qualche Dio esiste, che abbia cura dell’anima di Mabrouk. Un pastore di 16 anni che non sarà mai simbolo di niente, una piccola storia ai margini dei Grandi Eventi, ma che tanto avrebbe da dire se solo smettessimo di urlare e ci mettessimo ad ascoltare.