di Christian Elia
Questa è la storia di una separazione. Anzi due. La prima è quella tra l’autore, Flaviano Bianchini, fondatore e direttore di Source International, viaggiatore, attivista per i diritti umani, ambientalista, già nel giro di Peacelink, e il suo passaporto. La seconda quella tra gli uomini, che si sono dati le frontiere e ne hanno fatto muri.
Bianchini, in un serrato diario di viaggio che racconta i 21 giorni del suo viaggio, ha affrontato quello che vivono ogni giorno, da anni, centinaia di migliaia di persone che viaggiano lungo le vene scoperte dell’America Latina, da sud a nord, verso il sogno degli Stati Uniti d’America. E lo fanno in ogni modo possibile, ma soprattutto in treno. Quei treni che risalgono, in senso inverso, la rotta dell’esternalizzazione della produzione.
Perché come Bianchini non si stanca mai di ricordare, per le merci non esistono frontiere, ma per le persone si. Perché si rende un incubo il viaggio di coloro che servono in patria o negli Usa per lavorare come schiavi, per una paga da fame, per prodotti che non potranno mai nemmeno avvicinare. Retorica? No, realtà. Solo che è molto più comodo ignorarla.
Bianchini decide di fare questo viaggio, e di farlo come Aymar Blanco, ex marinaio peruviano, partendo da Tecùn Umàn, in Guatemala, per arrivare a Tucson, Texas, Stati Uniti d’America. Spedisce il suo passaporto a un amico, e di colpo, come se una vita interna non valesse nulla di fronte a un libretto, diventa un invisibile.
Ci sarà un fiume sperduto e dantesco, un deserto e i sobborghi di Città del Messico, le montagne e il muro costruito dagli Usa contro i migranti. E ci saranno poliziotti corrotti, compagni di viaggio impauriti e malfidenti, altri pronti ad aiutarsi a vicenda. Un po’ di solidarietà e bande di narcos che taglieggiano i migrantes.
Questo, però, non è un libro avventuroso. E’ un libro che racconta un mondo di disperati: braccati, affamati, rapinati dai predoni, perseguitati dalla paura di morire. Che è la compagna di viaggio silenziosa, perché puoi addormentarti sul tetto della ‘bestia’, come i migranti chiamano i grandi treni, e cascare giù o amputarti mentre tenti di salirci, o morire perché ti sei perso nel deserto. O scannato da una banda di narcos che deve segnare il territorio.
Il racconto dal punto di vista del camminatore è prezioso, perché i raccontati – per una volta – si raccontano, grazie all’operazione di Bianchini, che trova la motivazione umana e professionale per vivere la pelle di un altro. Che è una persona come lui, ma che non ha gli stessi diritti.
E’ uno spogliarsi, denudarsi, del posticcio status di ‘occidentale’, di quello di ‘ricco’, di quello di ‘fortunato’. L’autore butta via i suoi abiti, i suoi privilegi, e si riveste di speranza. Arrivare. E l’unico comandamento. Andare avanti costi quel che costi, l’unico Vangelo, per questo esercito di pezzenti perseguitati.
Non si corra il rischio di prendere questo come un caso limite. Non si sa con precisione quanti migranti muoiano durante il viaggio, esistono solo stime: tra i 50mila e i 100mila solo negli ultimi quindici anni. Avete letto bene. Sono città intere, inghiottite dalla follia di erigere muri falsi e ipocriti. Come quello eretto dagli Usa nel 1994, proprio mentre si siglava il trattato di libero scambio Usa – Messico, il Nafta. Merci si, persone no. Per 1123 chilometri, la barriera divide i due paesi, al resto ci pensa il Rio Bravo, dove ne annegano tanti.
Male che vada, se non ci pensa l’immenso deserto di Sonora, ci sono i minuteman, milizie di assassini made in Usa che passano il loro tempo libero a dare la caccia ai migranti, avvelenando i pozzi d’acqua nel deserto, allertando al polizia di frontiera, o sparandogli direttamente.
Migrantes è un libro prezioso. Ed è uno di quei documenti che, quando saranno passati anni, dovremo spiegare a chi verrà dopo di noi. E non ci saranno parole facili da trovare, per tutto questo orrore. Perché sarà complesso dire a qualcuno che c’è stato un tempo (che finirà, come tutti i tempi) nel quale vivere o morire dipendeva da un passaporto. O passare una frontiera era più facile per un radiatore che per una donna incinta.