Regia Emmanuelle Bercot, con Catherine Deneuve, Sara Forestier, Benoit Magimel e Rod Paradot. Nelle sale dal 19 novembre.
Di Irene Merli
Urla, voci sovrapposte, oggetti che volano. Un bambino di sei anni che sta giocando con le costruzioni sente tutto il bailamme attorno a lui e si ferma per osservare, lo sguardo stranito e indifeso. Siamo nell’ufficio di un giudice minorile e la madre lo sta per abbandonare lì’ con un fagotto di cose sue. La giovane ha un altro bambino al collo, e mal lo sopporta perché’ piange. figurarsi il più’ grande: mentre esce urla che non sa più’ cosa fare con lui e che e’ un delinquente.
Ritroviamo Malony, il delinquente, a 13 anni. Si trova nell’ufficio dello stesso giudice minorile, c’è ancora sua madre ma questa volta è lui a essere sotto accusa: ha rubato un auto per fare un giro a folle velocità, ovviamente senza patente. Ormai è un ragazzino molto problematico, ha fatto dentro e fuori da istituti.
La regista ce lo mostra costantemente irrequieto, abituato a usare la violenza come forma privilegiata di relazione, senza la minima capacità di affrontare una qualsiasi frustrazione o anche solo un “no”.
Malony ci appare colmo di una rabbia pronta ad esplodere con un’accelerazione disarmante, per quanto in più occasioni tenti con tutte le sue forze di contenersi prima che la foga trabocchi.
La verità è che ha una bassissima autostima e neppure le attenzioni che gli rivolge Tess, la figlia di un’ insegnante di una delle comunità dove si tenta di aiutarlo, sembrano riuscire a rassicurarlo. Almeno all’inizio, perché poi…
“A testa alta” è un tentativo di mostrare nel modo più verosimile un percorso di formazione costantemente minato e rimesso in discussione da chi dovrebbe portarlo avanti. A volte Malony incontra adulti che non comprendono la voragine che di porta dentro o che si limitano ad applicare la legge, ma spesso è proprio lui a rifiutare le attenzioni, le opportunità e anche l’amore che gli vengono offerti, chiuso com’è nel senso di inadeguatezza.
Dietro le sue reazioni violente e autodistruttive c’è una richiesta inespressa d’aiuto, cui non sempre è umanamente facile corrispondere. Emmanuelle Bercot ci invita a fare almeno lo sforzo di capirne il senso.
E il suo è un film corale in cui ognuno ha la sua parte di sofferenza: c’è una giudice minorile che vede fallire uno dietro l’altro i suoi tentativi di recuperare il ragazzo, di cui può letteralmente decidere il destino, c’è una giovane madre che non sa occuparsi dei suoi figli, ma li ama e se li sente rubati dalle istituzioni, c’è un educatore dall’infanzia altrettanto difficile che dovrà toccare il fondo e poi risalire per aiutare l’ indisponente ragazzino che passa da diversi tentativi di riabilitazione: un centro di rieducazione, poi il carcere minorile e poi un altro centro ancora.
Raccontare un ragazzo veramente difficile non è impresa da poco, soprattutto sullo schermo. Qui in aiuto alla regista vengono un lungo lavoro di ricerca accanto a giudici minorili, educatori, assistenti sociali e una straordinaria performance del giovane protagonista, Rod Paradot , trovato in un centro professionale per apprendisti falegnami.
Ma andare in controtendenza e mostrare che certi drammi possono anche finire bene è costato cara alla Bercot, che con “A testa alta” all’ ultimo festival di Cannes si è guadagnata il freddissimo silenzio della stampa internazionale alla fine della proiezione.
Certo, dell’inquadratura finale avremmo fatto volentieri a meno: pecca di eccessivo trionfalismo, sembra uno spot alla giustizia francese. Ma almeno per chi scrive è un dazio che si può pagare, se il resto del film ci fa capire che questi casi disperati possono diventare impossibili se non interessano a nessuno. E che se non ci si arrende, per quanto difficile sia, almeno qualche volta una discesa senza fine può essere fermata. Perché nulla è scolpito nella pietra quando si tratta di un bambino, e la repressione non può essere la sola risposta, anche se è la più facile.