Taluni, tra gli avventori della mostra Black presso la galleria Cortesi di Lugano, sono rimasti molto colpiti dai lavori di Maurizio Donzelli, artista bresciano che lavora da anni sul disegno, sull’epifania dell’immagine e sulla possibilità che l’autore ha di annullarsi nel proprio lavoro.
di Vito Calabretta
Il lavoro di Donzelli risulta ancora più impattante se lo si scorge nella cornice del Palazzo Fortuny, dove Axel Vervoordt, insieme a un folto gruppo di persone, ha allestito la mostra che, ormai per consuetudine veneziana, si propone come un confronto a distanza con il mondo della Biennale. Il titolo è Proportio e l’obbiettivo dichiarato è di offrire una rassegna di come l’opera d’arte possa misurarsi con il concetto di equilibrio, di proporzione intesa come occasione di misura perfetta o perlomeno anelante alla perfezione.
Daniela Ferretti, nel proprio contributo al catalogo, rende omaggio al matematico Luca Pacioli, tramite il quale noi accediamo alla ideologia della necessità di ricondurre la produzione artistica alla scienza esatta e alle sue espressioni nel corso della storia.
Il catalogo contiene poi saggi di varia natura, talvolta inquietanti come quello di Eddi de Wolf, dove la «teoria estetica delle proporzioni» viene riportata alla speranza che le neuroscienze possano individuare le condizioni “naturali”, se non “oggettive” di fruizione degli stimoli estetici (passando attraverso le ricerche di fisica della percezione acustica); talaltra estremamente interessanti come quello di Spyros Papapetros che parte da una suggestiva opera di Gordon Matta-Clark per proporre una rassegna della sensibilità alla teoria della proporzione in arte e in architettura moderna.
Spesso, poi, i lavori presentati nella mostra Proportio sono ricondotti alla ricerca di archetipi, cioè di contenuti meta-storici, profondamente insiti nella natura e nella natura umana, che riemergono nelle rappresentazioni e nelle modalità di costruzione della conoscenza.
Abbiamo dunque da una parte un concetto di equilibrio e di misura che sembrerebbe riconducibile a un impianto razionale; dall’altra l’individuazione di contenuti molto profondi e così potenti da dominare la creatività, sia nella conoscenza che nella rappresentazione.
Siamo così di fronte a un ossimoro che ci guarda e di fronte al quale la mostra di Palazzo Fortuny ci mette a guardare, anche se non sempre i lavori degli artisti sembrano volersi adeguare a questa situazione. Come esempio di questa incoerenza tra l’impianto generale e alcune opere possiamo citare ciò che dichiara Robert Ryman a commento del proprio contributo che sembra essere indifferente ai concetti e alla ideologia rivendicata da chi ha costruito il progetto Proportio: «ll quadrato è sempre stato solo uno spazio (costituito da lati di uguali dimensioni) con cui io posso lavorare … È un tipo di spazio del tutto neutro e per me funziona, considerando il mio approccio alla pittura. In un certo senso, i dipinti si dirigono, esteticamente parlando, verso l’esterno. Fuoriescono, si inseriscono nello spazio della sala, ne sono parte, anche della parete».
La mostra Proportio è quindi importante per vari motivi: è una alternativa conflittuale alla concezione estetica proposta dalla Biennale, anche in questa edizione; è densa di lavori importanti; li propone in un contesto violentemente fagocitante, quasi a volersi appropriare, con il decoro dell’edificio, dei contenuti di ogni opera esposta; propone una visione dell’arte quasi reazionaria, un ritorno agli ordini possibili della produzione e della percezione contro il caos della situazione dell’arte contemporanea. Lo fa in un modo assurdo (valorizzando l’ambivalenza del termine): convogliando il concetto di equilibrio nell’affastellamento di suggestioni di tutti i tipi che si sono sedimentate negli spazi del palazzo Fortuny di Venezia.
Torno dunque a Maurizio Donzelli perché anche il suo lavoro esprime una dicotomia, forse una incompatibilità, tra la dichiarazione programmatica e la consistenza del risultato. Partiamo da quella che può essere la fruizione da parte nostra. Se sopra ho scritto che il suo lavoro può risultare ancora più impattante a Venezia che a Lugano, è perché lì esso è completamente fagocitato dal contesto del palazzo. I due Mirror si trovano ai lati di un passaggio e quasi spariscono; se però si viene catturati o casualmente l’occhio ne riconosce l’esistenza, l’immagine che essi contengono si manifesta in tutta la propria efficacia. Ci cattura la sua ambiguità, la sua semplicità compositiva, il fatto che il segno di quei disegni sia allo stesso tempo elementare e ricco di suggestioni. L’artista sembra consapevole della dicotomia, infatti egli scrive: «Se proportio è un archetipo, è soltanto la polarità di un’indicazione innata, capace di farci riconsiderare ogni cosa del mondo. Cosa ci indica tra le mille figure del suo molteplice volto?».
Nel suo lavoro così come nel contenitore Proportio, noi abbiamo due potenzialità: ridurre la fruizione a condizioni elementari; giocare con la polemicità dell’espressione e forgiare i contenuti elementari in sistemi iper-complessi.