al centro di un festival al via a Torino
di Marta Clinco
Violetta Tonolli è una ragazza milanese di 26 anni. Vive al Cairo da circa due anni, dove ha proseguito gli studi di lingua araba iniziati in Italia, dopo la tesi di triennale sul cinema politico egiziano e sul rapporto tra cinema e rivoluzione. Nel 2011 infatti l’Egitto attira la sua attenzione per via degli eventi legati alle primavere.
Violetta trascorre parte l’adolescenza in giro per l’Italia, a zonzo tra i festival del cinema che riesce a trovare: Pesaro, Venezia, Torino, Roma, piccole cittadine del nord e centro Italia, Locarno. Nella cineteca domestica del padre, molti pezzi ad oggi introvabili. Sulla passione familiare per il cinema cresce quella per la fotografia – in fondo sempre di pellicola si tratta. Inizia così a lavorare a progetti fotografici di riflessione sul territorio locale: allestisce la mostra Egypt in silence alla galleria Tahrir Lounge del Goethe Institute del Cairo. Lo scorso settembre iniza a lavorare come curatrice del progetto del film festival Stray dogs – 20 corti di giovani registi egiziani e si prepara a coordinare il film festival interno al DCAF, rassegna di arte contemporanea del Cairo che si tiene ogni anno tra marzo e aprile.
Stray dogs – 20 corti di giovani registi egizianiinizia oggi 25 novembre e si concluderà sabato 28 novembre alla Cavallerizza Reale di Torino.
Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’Alto istituto di cinema del Cairo e l’Assemblea Cavallerizza di Torino, appunto, con la volontà di avvicinare il pubblico italiano alla scena cinematografica egiziana emergente. I cortometraggi, che saranno proiettati in quattro serate, sono lavori di fiction, documentari e corti di animazione prodotti negli ultimi anni dagli studenti dell’Alto Istituto di Cinema della capitale egiziana e da giovani registi locali indipendenti.
«L’Alto istituto di Cinema del Cairo – spiega Violetta – è l’unica istituzione cinematografica presente al Cairo. Certo, ci sono anche alcune altre accademie private di film making e cinema, ma l’Istituto è l’accademia più completa. Ha formato alcuni dei profili professionali più interessanti in Egitto nel campo cinematografico. Hanno studiato e poi insegnato lì anche figure del calibro di Aly Badrakhan, il famoso regista».
L’evento è stato realizzato con la collaborazione di Elisabetta Benigni, docente di Lingua e Letteratura Araba presso l’Università di Torino, e di Mina Hany Abdelmalik dell’Alto istituto di cinema del Cairo, insegnante appassionato e grande esperto di cinema, che ha contattato tutti i più talentuosi studenti ed ex studenti dell’istituto (a partire dal 2010) restringendo il campo ai progetti del secondo anno (fiction) e terzo anno (documentario), e che quindi ha messo a disposizione e co-curato tutta la scelta del materiale audiovisivo.
«Tra i corti, abbiamo fatto una selezione – racconta Violetta – basandoci su criteri artistici e tecnici, ma anche cercando di immaginare se la specifica tematica avrebbe potuto effettivamente suscitare interesse in Italia, e abbiamo così definito diversi filoni tematici interni al festival».
La rassegna offre uno sguardo sulla scena cinematografica egiziana più recente: si parte dalla vita della strada, dal quotidiano metropolitano, delle province e degli spazi di confine, passando per diverse tematiche come il rapporto con la società, quello con la famiglia, la rivoluzione mancata, la sessualità, le minoranze etniche, e poi ancora la città e l’urbano, nei loro diversi aspetti.
«L’obiettivo è quello di mostrare, attraverso una selezione di lavori creativi e innovativi, quegli aspetti della società egiziana moderna che normalmente non attirano l’attenzione dei media».
«Al di là della cosiddetta rivoluzione – prosegue Violetta -, ci sono il Cairo, e tante altre realtà taciute al di fuori della capitale – ci sono le voci della disoccupazione, della lotta quotidiana intestina a una società repressiva, le voci della voglia di immaginare spazi diversi e inclusivi, anche attraverso l’espressione artistica cinematografica. L’Egitto oggi è un Paese difficile in cui fare arte – soprattutto se l’obiettivo è quello di esplorare o analizzare la società».
«Le persone sono molto restie a farsi riprendere o fotografare – diffidenza acuitasi particolarmente dopo la rivoluzione: per le strade, la gente guarda con sospetto chi ha in mano una videocamera o una macchina fotografica. Ci sono poi alcune tematiche difficili da affrontare perché farlo potrebbe significare essere perseguiti penalmente – argomenti o fatti di politica, ma anche religione, sessualità… omosessualità».
La giornata di giovedì 26 sarà totalmente dedicata a una particolare selezione di film indipendenti o prodotti da accademie private egiziane, mentre gli appuntamenti di oggi e venerdì saranno riservati ai corti dell’Alto Istituto del Cinema. L’ultima serata, sabato 28 novembre, vedrà la proiezione della selezione dei film più belli di tutte le giornate precedenti. Per concludere, dj-set di black music con alcuni dj di Milano.
Ma la rassegna, alla sua prima edizione italiana, non si ferma qui: l’obiettivo rimane quello di portarla in altre città oltre Torino, in Italia come all’estero, e continuare ad accumulare materiale audiovisivo, nuovi corti, nuovi lavori di nuovi registi emergenti egiziani, che continuano a produrre materiale interessante, in cui si respira un’aria nuova, diversa.