con il sostegno parlamentare di Bloco de Esquerda, Pcp e Verdi
di Marcello Sacco, da Lisbona
È andata un po’ come quando in famiglia succede una disgrazia e l’ultimo a saperlo è il nonno, per paura che il cuore non regga. Il presidente della Repubblica portoghese, il conservatore Aníbal Cavaco Silva, 76 anni, giunto alla fine del secondo mandato presidenziale e di una lunga carriera politica (nel decennio in cui fu primo ministro, tanto per intenderci, il suo Portogallo votò contro una risoluzione Onu che chiedeva al Sudafrica la scarcerazione di Nelson Mandela), ha lottato con tutte le forze contro l’idea di incaricare il socialista António Costa (nella foto sopra, con il presidente) di formare il ventunesimo governo costituzionale.
Costa aveva perso le elezioni, ma aveva in mano un patto delle sinistre sufficiente a far approvare un governo di maggioranza relativa. L’opposizione di Cavaco Silva stava sfiorando i limiti del lecito.
Il presidente preferiva la grossa coalizione, forse, ma aveva lavorato poco e male per favorire il dialogo fra partiti che si erano battuti aspramente negli ultimi anni, convinto che l’incomunicabilità fra le sinistre sarebbe proseguita anche dopo gli anni della troika, lasciando carta bianca a socialdemocratici e popolari.
Invece Costa ha confermato tutte le sue doti di abile negoziatore e ha ottenuto un risultato doppiamente impensabile: primo, per aver coinvolto i comunisti nel governo quarant’anni esatti dopo il gran divorzio (le battute finali del tentativo di radicalizzare la rivoluzione dei Garofani si consumarono il 25 novembre 1975); secondo, per aver varato un governo “socialistissimo” pur avendo poco più del 30 per cento dei voti (ardua impresa in un sistema proporzionale puro).
Bloco de Esquerda, Pcp e Verdi infatti garantiscono il sostegno parlamentare, ma la lista dei diciassette ministri che oggi giurano e si insediano mostra parecchi soliti noti della politica degli ultimi decenni.
Senza entrare nel dettaglio, diciamo che spiccano la rinascita del ministero della Cultura (ridotto a segreteria di Stato nel primo governo Passos Coelho) e i giovani economisti dello staff di Costa nei ministeri chiave di Economia (Manuel Caldeira Cabral) e Finanze (Mário Centeno), da cui ci si aspetta ovviamente molto, mentre all’Istruzione va un esperto in ricerca oncologica (sperando, battutina facile, che non tratti scuola e docenti come cancri sociali).
Si è fatta notare anche la presenza di una luso-angolana alla Giustizia, Francisca Van Dunem. Hanno suscitato curiosità sia la sua provenienza dalla magistratura, in un momento delicato del rapporto tra Ps e giudici (a causa dell’inchiesta sull’ex premier Sócrates), sia i suoi legami familiari con i celebri Van Dunem di Angola, in un periodo non facile per il popolo angolano, il regime di Luanda e i rapporti istituzionali con Lisbona (il fratello della ministra, José Van Dunem, scomparve nel ‘77 in una delle più sanguinarie e ancora oggi oscure operazioni repressive realizzate nel Paese già indipendente, sotto la presidenza di Agostinho Neto).
Il programma di governo prevede nell’immediato diversi appuntamenti da segnare sull’agenda: restituzione degli stipendi tagliati alla pubblica amministrazione e degli assegni sociali per i più indigenti, aumento graduale del salario minimo, scongelamento delle pensioni, riduzione dell’Iva nel settore della ristorazione, introduzione di nuove aliquote Irpef che permettano una più equa tassazione dei cittadini.
Se gli anni della troika sono stati anni di rivoluzione liberista (ché chiamarla “rivoluzione liberale” significherebbe dare antenati troppo nobili a chi in questi anni si è limitato a fare l’emissario di Schäuble), questo di António Costa è un programma controrivoluzionario, paradossalmente più liberale dei liberali, per l’alleggerimento della pressione fiscale.
Funzionerà? Intanto varrà la pena segnalare che questa “controrivoluzione” l’aveva avviata il Parlamento nazionale il 20 novembre scorso, cancellando leggi sulla scuola e sulla limitazione dell’aborto varate dal governo precedente e approvandone di nuove, come quella che permetterà l’adozione anche alle coppie omosessuali, completando così un percorso legislativo iniziato nel 2010 con la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Per Pedro Passos Coelho sarebbe stato troppo penoso procedere nell’ordinaria amministrazione di un governo dimissionario e limitato fino a nuove legislative (che in Portogallo, per l’intrecciarsi delle presidenziali di gennaio e di due semestri bianchi, non potranno avvenire prima della prossima primavera), accanto a un Parlamento in piena foga legislativa, forte di una netta maggioranza di sinistra.
Perciò, fra i tanti che in queste settimane hanno incontrato il presidente, è stato forse uno dei più chiari nell’asserire che il governo Costa era ormai inevitabile. Tanto che alla fine anche il nonno ha dovuto accettare.
La speranza malcelata della destra è che il logorio della routine governativa e le patate bollenti rimaste in eredità (banche fallimentari, privatizzazioni affrettate e pendenti, impegni internazionali: dal pareggio di bilancio alle guerre prossime venture) accentuino i dissapori fra i “compagni” e accelerino la caduta.
Un pasticciaccio a sinistra significherebbe rinviare sine die la possibilità di un’alternanza politica in Portogallo. Si tratta quindi di capire non tanto se la cura da cavallo di questi anni sia servita a qualcosa, ma se questa nuova Europa in fieri, con nuove regole e il nuovo corso della Bce di Draghi (che per ora mantiene bassissimi, addirittura sotto zero, gli interessi sul debito sovrano) presenta alternative possibili al partito unico della rassegnazione.