di Bruno Giorgini
Guerra e Pace, magistralmente descritte da Tolstoj, sono stati a lungo i due stati fondamentali dell’umanità. Con la seconda guerra mondiale, nel cuore d’Europa e nel cervello di gran parte della cultura tedesca, dilagò il nazismo coi suoi pilastri, il genocidio e la shoah dell’intero popolo ebraico, ma non solo. Dovemmo chiederci quindi con Primo Levi se questo è uomo, mentre in URSS, patria del socialismo totalitario, si costituiva l’arcipelago Gulag raccontato da Solgenitsin – l’universo concentrazionario del lavoro schiavizzato e della detenzione arbitraria per milioni di persone, con una immensità di morti. Mai più guerra mai più Auschwitz fu lo slogan del dopoguerra, la ragione stessa costituente il progetto dell’Europa unita.
Arrivarono poi le guerre balcaniche ma in qualche modo le si tenne ai margini, quasi non riguardassero l’Europa se non dal punto di vista umanitario quando le stragi di cittadini/e diventarono pulizia e stupro etnico, cominciando a somigliare un po’ troppo al genocidio. L’intervento militare europeo in questo contesto avviene sub specie di «ingerenza umanitaria», una sorta di azione di polizia internazionale per reprimere la messa in atto di crimini contro l’umanità. Infine dopo l’attacco di Daesh a Parigi, contro la gens parigina comunque intesa, il Presidente Hollande il 16 novembre 2015 così esordisce di fronte alle camere riunite in «seduta solenne», come suol dirsi:
«La Francia è in guerra».
È la prima volta dal 1945 che il Presidente di una nazione europea dichiara lo stato di guerra per il suo paese. Si tratta di una novità assoluta che non può essere derubricata a eccesso di retorica e/o a sovradeterminazione linguistica. Nemmeno al tempo della guerra d’Algeria quando nel 1955 fu varata la legge sullo stato d’emergenza oggi in vigore, simili parole furono mai pronunciate. Non per caso nelle guerre coloniali si preferiva l’impiego della Legione Straniera, piuttosto che dell’esercito regolare, significando che si trattava di spedizioni militari a sottomettere gli indigeni riottosi, diciamo di guerre di sghimbescio che non c’era bisogno di dichiarare tantomeno in forma solenne.
Nel corso dello stesso discorso Hollande parla di «un esercito jihadista che ci combatte perché la Francia è un paese di libertà, perché siamo la patria dei diritti dell’uomo» – mentre pochi giorni dopo Parigi annuncia che non rispetterà la Convenzione dei diritti dell’uomo proprio in nome della guerra a Daesh, clamorosa contradictio in subiectu che investe direttamente la persona del Presidente, d’altra parte “persona” in latino significa maschera, ovvero la contraddizione di cui sopra rischia letteralmente di “smascherarlo”.
Comunque né qui né altrove nel “solenne” discorso, Hollande si riferisce oltre alla libertà anche a Egalitè e Fraternitè.
Una svista? Non credo; piuttosto la percezione più o meno conscia che di egalitè ce ne è pochina oggi in Francia, specie tra i cittadini franco francesi, monsieur Dumas col figlio Pierre, e quelli originari del Maghreb e dell’Africa, il signor Abdullah col figlio Amin e la ragazza Fatima che per legge dello stato non può portare il velo, il che mette a dura prova anche la fraternitè, aprendosi fratture che rischiano di diventare voragini, né tutto questo ha granché a vedere con le religioni. L’egalitè e la fraternitè tra l’altro hanno molto a che vedere con il rapporto uomo natura, in specie con il cambiamento climatico e/o riscaldamento globale.
Scrive Leopardi «Il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l’eguaglianza dei globi che compongono il sistema solare (…), nel modo che la ragione e la natura insegnavano agli uomini ed a qualunque vivente l’uguaglianza naturale degli individui di una medesima specie». Solo stabilendo un contratto di equità con la natura, di eguaglianza tra uomo e natura, e rompendo col paradigma del dominio dell’uomo sulla natura fin qui egemone lungo i secoli, è pensabile di fare fronte al cambiamento climatico, che se continuasse ai ritmi attuali potrebbe comportare un vero e proprio olocausto climatico nonché una nazifisticazione (orrendo neologismo) dell’intera società, le due cose tenendosi insieme.
Leggiamo la prima riga di un serio articolo scientifico pubblicato su The International Journal of Human Rights (2014):
«Anthropogenic climate change poses the possibility of total human extinction».
Secco, lapidario, terribile se non ci si mette mano, come dovrebbe il Cop 21 che riunisce a Parigi moltissimi capi di stato e di governo, nel tentativo di trovare un qualche accordo per la limitazione delle emissioni di gas serra. Oltre ai capi di stato moltissime organizzazioni di base si sono date appuntamento a Parigi per manifestare negli spazi aperti e pubblici in molti modi, cortei compresi in sostanza per dire che la lotta al cambiamento climatico riguarda l’umanità intera perché la vita della specie è in causa.
Una umanità che dovrà essere necessariamente animata dalla fraternitè, perché soltanto nella cooperazione si può sperare di farcela; le strategie selfish – individualiste e egoistiche – sono del tutto inefficaci, se non disastrose come per esempio dimostra in lungo e in largo l’esperienza della tempesta alluvionale che ha spazzato via gran parte di New Orleans (ne parleremo più in dettaglio). E però, causa guerra pare che il governo francese intenda vietare o confinare in spazi ristretti e difficilmente accessibili queste espressioni politico ecologiche della comune umanità. Facendo un errore clamoroso sul versante della capacità dei cittadini di riprendersi la città, decisiva per contrastare la paura ingenerata dal terrorismo, ma certamente contribuendo a amplificare il clima di guerra necessario al governo per supportare la sua azione militare nei cieli della Mesopotamia, e repressiva in patria fuori dal quadro dei diritti umani, come già preannunciato.
Dicono le malelingue: lo fa in funzione elettorale per togliere spazio a Marine Le Pen, e al FN, che si profila come il possibile vincitore delle prossime consultazioni regionali.
Francamente c’è da sperare che le malelingue abbiano torto, perché agitare in concreto lo spettro della guerra in Parigi vietando manifestazioni pubbliche del libero pensiero va aldilà del normale cinismo politico, per sconfinare nell’irresponsabilità etica. D’altra parte la guerra è sempre assai devastante oltreché per gli umani, anche per l’ambiente: in Bosnia c’erano interi boschi cogli alberi tranciati più o meno a altezza d’uomo dalle raffiche di mitragliera pesante, per sgomberare il campo di tiro tentavano di darne ragione gli ufficiali, pensando io invece che di semplice spirito distruttivo si trattasse.
Nelle guerre prosperano i mercanti di denaro, i mercanti di armi, i mercanti di esseri umani, i mercanti di combustibili fossili tutte attività altamente inquinanti. Ognuna di queste consorterie essendo fortemente schierata contro la riduzione delle emissioni di gas serra, per l’essenziale combustibili fossili, cioè petrolio e derivati. La guerra di Mesopotamia in particolare li vede schierati tutti insieme, una collezione di nemici acerrimi di qualunque riduzione dei gas serra. Daesh che finanzia il suo pseudo stato totalitario col petrolio, sedendo seppure un po’ di sbieco nel consesso dei petrolieri con Arabia Saudita, Kwait, Qatar, Turchia i quali lo sostengono, anche imbrigliando Obama che da mesi bombarda guarda caso senza risultati significativi sul piano strategico, salvo quando prese le parti dei resistenti kurdi a Kobane e pare un poco ora aiutando i Peshmerga sul terreno.
Per di più la guerra di Mesopotamia ha in origine una componente climatica, quando dopo una lunga e straordinaria siccità con carestia scoppiano le proteste dei cittadini siriani contro il regime tirannico di Assad.Sulla protesta piombano molti avvoltoi, tra cui miriadi di agenti più o meno segreti, mercenari di ogni dove e tutte le componenti dell’universo jihadista, inquinando l’azione democratica anche armata fin quasi a annichilirla come ci ha raccontato un testimone diretto, Domenico Quirico. Viceversa oggi il potere dell’aspirante Califfo sta anche nel controllo delle risorse di acqua potabile e irrigua, che si incanala nel grande bacino al riparo della diga di Mossul e nei fiumi Tigri e Eufrate, vitale per milioni di esseri viventi, umani, animali, vegetali.
Quindi la conferenza denominata Cop 21 altro non può che essere conferenza di pace partecipata dai popoli.
La causa della riduzione dei gas serra e della costruzione di un sistema energetico alternativo o sarà fatta propria dalla stragrande maggioranza dell’umanità oppure, rimanendo confinata nelle segrete stanze dei capi si stato, sarà sempre subalterna all’intrico dei problemi generati dalla competizione e dai conflitti geostrategici, dove la guerra alberga a suo agio. Parlo di un processo e non di quanto concretamente succederà a Parigi in questi giorni, anche se un sussulto democratico di partecipazione pubblica sarebbe benvenuto.