artista poliedrica attratta dal tema del doppio
di Francesca Rolandi
La mostra “In Love with Clay”, curata da Massimo Premuda e Dinah Voisin ed inserita nel progetto “Varcare la frontiera”, promosso dall’associazione triestina Cizerouno, ricorda l’artista Fiore de Henriquez, una protagonista della scena artistica internazionale, ormai quasi dimenticata nel suo paese di origine.
La mostra accompagna il visitatore attraverso la parabola di vita dell’artista, partendo dall’infanzia che la vide nascere proprio nella città adriatica nel 1921.
Fiore era la discendente di una famiglia dell’antica nobiltà spagnola alla corte asburgica da parte di padre e da una famiglia turco-russa da parte di madre e sorella di Diego, un instancabile collezionista di materiale bellico che sarebbe poi confluito nell’attuale Civico Museo della Guerra per la Pace che porta il suo nome.
La bizzarra parabola di vita di Diego de Henriquez, che si concluse drammaticamente in un rogo che avvolse la struttura nella quale dormiva circondato dai suoi cimeli, è stata raccontata nell’ultimo libro di Claudio Magris “Non luogo a procedere” (Garzanti, 2015).
Fiore si formò all’Accademia delle Belle Arti di Venezia sotto l’egida di Arturo Martini e si perfezionò successivamente in scultura su pietra e legno.
Sebbene nell’immediato dopoguerra fu per breve tempo partecipe della vita culturale della sua città natale sotto amministrazione anglo-americana, prendendo parte in particolare all’iniziativa della rivista “Ponterosso”, che si apriva al dialogo con il vicino orientale e comunista, presto le circostanze della vita la portarono lontano da Trieste e dall’Italia.
A far maturare in lei la decisione di lasciare l’Italia fu la constatazione delle difficoltà che esistevano nel firmare un’opera con un nome femminile, dopo che una delle sue sculture fu distrutta a Salerno.
Approdata a Londra si fece strada come artista, ottenendo un riconoscimento dalla British Academy e affermandosi come autrice di busti che ritraevano le celebrità dell’epoca, da John Kennedy a Vivien Leigh alla regina d’Inghilterra.
Naturalizzata britannica in seguito a una petizione promossa da personalità di spicco del mondo artistico per la concessione della cittadinanza per meriti artistici, si riavvicinò all’Italia dove acquistò il borgo di Peralta, adiacente a Carrara, che ristrutturò e trasformò in una colonia per artisti.
Artista commerciale ma anche sperimentatrice poliedrica, Fiore de Henriquez incentrò la sua opera attorno al tema del doppio che trovava un riscontro immediato nella sua identità mista.
Fiore era ermafrodita, possedeva organi genitali femminili e maschili, che le erano apparsi fin dall’adolescenza, sosteneva di appartenere al terzo sesso e nella sua vita ebbe di preferenza relazioni con donne e decide per la rimozione degli organi sessuali maschili in età relativamente tarda.
Una ambivalenza identitaria che emergeva nelle sue opere, in cui ricorre il tema del dualismo e dei gemelli siamesi.
Ad essere esposti nello spazio Double Room (via Canova 9, Trieste), visitabile fino al 29 gennaio, sono sculture dell’artista, fotografie, carteggi, documenti dell’epoca e materiali audiovisivi.