Transumanza e letteratura sulla Durand Line

Necessità, tradizione, mito e scrittura. La migrazione di vecchi e nuovi nomadi tra narrazione epica e antichi movimenti transfrontalieri. Uno sguardo sulla frontiera maledetta

di Emanuele Giordana, tratto dal suo blog Great Game

La Durand Line e in particolare i suoi passaggi, di cui il più famoso è quello di Khyber, sono sempre stati una grande attrazione per i viaggiatori occidentali a partire dalla sua creazione. Ma molto prima e molto dopo, sia quando quel confine non esisteva, sia dopo che il righello di Mortimer Durand l’aveva tracciato, un’enorme massa di persone aveva attraversato, e continua a farlo, la frontiera geografica segnata dai monti Suleiman.

Per commercianti, trafficanti, eserciti, contrabbandieri, guerriglieri, i passi che attraversano quella linea più o meno immaginaria sono l’accesso al subcontinente o l’uscita verso l’Asia centrale. Di questi protagonisti si è detto molto ma minor attenzione si è prestata a quanti, nei secoli e in parte ancora oggi, la attraversano in una migrazione nomadica che spinge a varcare quella soglia in cerca di un clima meno rigido e pascoli più rigogliosi.

Anche vecchi e nuovi nomadi (per scelta economica – nel caso della transumanza – per scelta obbligata – nel caso dei migranti in fuga dalla guerra – per scelta logistica nel caso dei viaggiatori) sono dunque tra i grandi protagonisti della frontiera più porosa del pianeta.

Ma se i viaggiatori occidentali hanno soprattutto raccontato sé stessi e del fascino del Khyber Pass, i pastori non si raccontano e sono ancor meno sono raccontati di quanto non lo siano profughi e sfollati, obbligati a un nomadismo senza futuro dalle contingenze belliche. I pastori nomadi attraversano da secoli una frontiera che è per loro essenzialmente geografica. I nomadi “moderni” – i viaggiatori – ne sono invece stati attratti dall’idea di un passaggio culturale – molto mitizzato – tra due mondi.

Kuchi

Della migrazione dei nomadi afgani che attraversano stagionalmente il confine non si conosce
molto, come poco si sa della loro storia e persino delle loro origini. Tanto meno dell’estrema fluidità con cui un gruppo può passare da una vita nomade a una seminomade o addirittura sedentaria per poi riprendere nuovamente la strada. In Afghanistan i nomadi vengono denominati Kuchi, un termine che indica soprattutto (ma non solo) la realtà pashtun.

In effetti le maggior parte delle comunità nomadi o seminomadi sono pashtun ma vi sono gruppi, benché minori, di origine beluci, araba, turcmena e così via. Il nomadismo è prevalentemente legato alle esigenze del pascolo e per molti Kuchi le pianure al di là dei Suleiman erano una meta importante: non solo per la ricerca di pascoli ma per commerciare il surplus (bestiame, carne, lana, capelli, pelli, frutta ma anche artigianato – tappeti – scambiati per sale, tè, zucchero, abiti, ferro e, in tempi recenti, cherosene).

Largamente tollerati dai britannici – che quando potevano tassavano le carovane – i nomadi hanno visto complicarsi le cose con le frizioni di frontiera tra Pakistan e Afghanistan, sia per la questione del “Pasthunistan”, sia per la necessità più recente di controllare il flusso transfrontaliero, specie se non passa da valichi stradali.

Alle difficoltà di attraversare la frontiera – passaggio garantito dalla conoscenza del terreno e dalla rete delle parentele – si è aggiunto il problema della sicurezza (guerra, mine, bombardamenti) e la ricerca di lavori sedentari in Afghanistan: elementi che hanno ridotto sempre di più – dagli anni Sessanta del secolo scorso – il flusso tra le due frontiere, tanto che oggi la transumanza transfrontaliera, fortemente scoraggiata, è ormai un fenomeno residuale in quel milione e mezzo di nomadi Kuchi (2,5 milioni in totale), di cui oggi si registrano soprattutto le contese con vecchi e nuovi proprietari terrieri sull’utilizzo dei pascoli afgani.

Nuovi nomadi

Il flusso dei nomadi per vocazione letteraria, di ricerca o piacere del viaggio, non sono elemento recente anche se fu l’epoca del Raj britannico, che aveva la sua frontiera più occidentale nei turbolenti territori sikh e afgani, a far guardare oltre la Durand Line prima e dopo che fosse tracciata. Si può citare per tutti sir Olaf Caroe e la sua storia dei Pathan, lungo racconto di stili di vita e codici consuetudinari ammantato del fascino che le genti delle aree tribali avevano sull’ultimo governatore del Raj nella Provincia della frontiera.

Giornalisti e scrittori, fuori dal circolo strettamente accademico, si sono esercitati – da Karl Meyer a Peter Hopkirk – sull’epopea britannico zarista del Great Game, locuzione che la vulgata attribuisce erroneamente a Rudyard Kipling, narratore delle avventure del piccolo Kim, circondate dal mito del fiero guerriero afgano e del compassionevole monaco buddista. Del resto anche Giuseppe Tucci racconta di quel fascino che circonda vallate e pianure «in quelle contrade dove prosperò l’arte del Gandhara».

Incantato dalla storia del passo di Khyber, in epoca più recente, lo scozzese Paddy Doncherty vi ha passato mesi per raccontare un luogo dove, a ogni piè sospinto, si ricorda l’epopea militare del Raj che pende dalle pareti rocciose negli stemmi del Dorset Regiment o dei South Wales Borderer.

Gli scrittori non mancano: dai maledetti, come la svizzera Annemarie Schwarzenbach accompagnata da Ella Mailart, ai semplici osservatori alla Nicolas Bouvier – anche lui svizzero – che con Thyerry Vernet attraversa il Khyber con una Fiat Topolino. L’attenzione ai nomadi locali – i protagonisti nascosti dell’attraversamento della frontiera – è però rara: si ritrova in un libro appena dato alle stampe della scrittrice e fotografa Monika Bulaj o nel romanzo di Jamil Ahmad, scrittore pachistano che, forse per questo, cede meno al fascino orientalistico che inevitabilmente colpisce il viaggiatore occidentale.

Opere citate

Ahmad J., L’acqua più dolce del mondo, Bollati Boringhieri, 2012
Bouvier N., L’oeil du voyage, Hoëbeke, 2001
Bulaj M., La luce nascosta dell’Afghanistan, Electa, 2013
Caroe O., The Pathans, Oxford University Press, 1996
Docherty P., Khyber Pass, ilSaggiatore, 2007
Foschini F., The Social Wandering of the Afghan Kuchis, AAN, Kabul, 2013
Hopkirk P., Il Grande Gioco, Adelphi, 2004
Maillart E., La via crudele, EDT, 1993
Meyer K., La polvere dell’impero, Corbaccio, 2004
Schwarzenbach A., La via per Kabul, assaggiatore, 2009
Tucci G., La via dello Svat, Leonardo da Vinci Editirce, 1963
Wily L. A., Land, People, and the State in Afghanistan 2002-2012, Areu, 2013