Paris, rue de Rome

Viaggio tra i quartieri a tema della capitale francese

di Valeria Nicoletti, da Parigi, tratto dal blog Au vent mauvais

Nascosti e brulicanti, ai piedi dei palazzi a sei piani, al riparo dai grandi viali del barone Haussmann, a Parigi ci sono interi quartieri a tema. Utensili da cucina, costumi di teatro, pianoforti, cibo giapponese, ogni curiosità, vezzo, esigenza trova il suo angolo nella capitale.

Restando nei paraggi di Montmartre, ai piedi della Basilica, il quartiere intorno al Marché Saint-Pierre, con le piccole stradine intorno, come la rue Seveste, è il regno dei mercanti di tessuti, attraversato senza sosta da signore in cerca di stoffe, scenografi con un intero universo teatrale in costruzione e costumisti impegnati nelle prove. I marciapiedi sono ricoperti di lustrini e, soprattutto dopo il tramonto, cominciano a brillare. Nei dintorni di Barbès, invece, inizia il Boulevard de Magenta, con le boutique di abiti da sposa a buon mercato, costumi stravaganti per sposi sopra le righe e damigelle audaci.

Abbandonando il 18simo arrondissement per il tempo di un viale, percorrendo il Boulevard des Batignolles che si stacca dalla Place de Clichy, s’incrocia la Rue de Rome. Siamo già nel 17simo, le strade tornano piatte, non ci sono salite né passaggi impervi, ma grandi spazi, architetture più alte e un’aria borghese e tranquilla. La Rue de Rome, che si affaccia sui binari della stazione di Saint-Lazare, è il regno di liutai e musicisti. Da almeno due mesi, da quando me ne vado in giro per cliniche e laboratori, la percorro quasi una volta a settimana.

Per ogni isolato, da un lato e dall’altro della strada, ci sono botteghe ricolme di violoncelli, negozi di spartiti e libri di musica, con i banchetti all’aperto per le partizioni a metà prezzo, l’atelier di un vecchio liutaio con un gatto in vetrina, file di violini e, di fretta sul marciapiede, ragazzini con sulle spalle una chitarra, una viola, un clarinetto. Appena prima di svoltare a destra, per la rue de Vienne, c’è forse la più bella boutique della strada, un atelier in legno rosso, saltato fuori dal secolo scorso, incorniciato di violini, dove ci sono al lavoro ogni giorno tre giovani liutai in grembiule.

Di ritorno a casa, una settimana fa mi sono fermata anche io a spulciare tra gli spartiti e ho portato con me tutte le partizioni di Erik Satie. Solo più tardi, ho scoperto che Satie ha abitato per anni a Montmartre, precisamente in una stanza ammobiliata nella rue Cortot, parallela alla rue Norvins, dove sono attualmente domiciliata. Oggi la rue Cortot è un elegante vialetto lastricato, con il Musée de Montmartre, a un passo dai vigneti della Butte e dal giardino selvatico della Rue Saint-Vincent. Appena qualche metro più in là, ai piedi della scalinata della rue de Mont-Cenis, abitava anche Hector Berlioz, che nel quartiere più alto di Parigi ha composto Benvenuto Cellini.

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Amico di tutti gli artisti di Montmartre, da Picasso a Tzara, autore di musiche di varietà per i cabaret del quartiere e raffinato intellettuale, non era improbabile, un secolo fa, imbattersi in Erik Satie, conosciuto anche come Velvet Gentleman, per l’abitudine di indossare sempre lo stesso costume di velluto grigio, di cui possedeva sette esemplari identici, saggia intuizione di chi la mattina non ha voglia di perdere tempo davanti all’armadio.

Inguaribile eccentrico, arrivato a Parigi, dopo l’adolescenza in Normandia, Satie aderisce all’ordine cabalistico dei Rosacroce, che abbandonerà per fondare una chiesa personale, di cui sarà l’unico adepto, l’Eglise Metropolitaine d’Art de Jésus Conducteur, confessione che, con estrema professionalità, doterà anche dei suoi propri Dieci Comandamenti, tra cui il primo: “Non adorerai altro che Debussy”. Nonostante l’attitudine religiosa, Satie non smise mai di domandarsi il perché del suo essere su questa terra, “così terrestre e così terrosa”, di chiedersi se fosse nato per “una missione, o una commissione?” e non esitò a riempirsi l’esistenza di rituali e stranezze, di fonografi e ombrelli, che collezionò per tutta la vita, per dare un senso ai suoi giorni, soprattutto dopo la fine dell’intensa storia d’amore con la pittrice Suzanne Valadon.

Ossessionato dal numero tre, Satie scrisse tre Gnossiennes, tre Gymnopédies, tre airs à fuir, tre danses de travers, tre Mélodies sans paroles. Ma non solo. Satie fu l’autore anche di tantissime arie da cabaret, melodie che definì triviali e di cui rifiutò a lungo la paternità. Scrisse, tra le altre, una Sonatine Bureaucratique, La Belle Excentrique, due Rêveries Nocturnes e Trois morceaux en forme de poire, letteralmente Tre pezzi a forma di pera. Compose la musica per un balletto insieme a Jean Cocteau e un altro insieme al regista onirico e fantasmagorico per eccellenza, René Clair. Molto in anticipo sulle prime forme di musica ambientale, creò la musica da arredo, musique d’ameublement, e per beffarsi di critici e conservatori, mise insieme le sue Vexations, trentacinque battute ripetute 840 volte per una durata totale di circa venti ore, reinterpretato di recente da John Cage.

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Celebre per le abitudini stravaganti, per il suo senso dell’umorismo non di rado incompreso, Satie, che soffriva di amnesie e frequenti vuoti di spirito, ha riempito le sue partizioni di annotazioni e consigli per l’esecuzione ben distanti dalle classiche indicazioni di ritmo. Di ritorno a casa, cominciando a studiare la prima Gnossienne, mi è sembrato quasi di sentirlo, a pochi passi dalla mia finestra.

“Da soli, per un attimo”, si legge in cima a una battuta e poi, poco dopo, “aprite lo spirito”, “munitevi di lungimiranza”. Nota dopo nota, nelle tre Gnossiennes, Satie suggerisce di “consigliarci con cura”, seguendo una legatura, ci ricorda di “domandare a noi stessi”. Nel cuore di una strofa, ci accompagna “nel pensiero, fino in fondo”, per “abbandonare l’orgoglio” e sentire la più grande delle bontà. “Passo dopo passo”, con sempre maggiore intimità, come se, al di là del vuoto, dello sconforto, della mancanza di un faro e di una direzione, il segreto sia nel seguire la musica, senza staccarsi dal pianoforte.

“Perseguire un’estrema brillantezza”, senza tuttavia perdere l’occasione di imbatterci in un subitaneo stupore, ed essere, per il tempo di una dozzina di biscrome, “perdutissimi”.

Soundtrack: Erik Satie, Je te veux, una ballata d’amore dolcissima, probabilmente scritta per uno spettacolo di cabaret, priva del piglio intellettuale delle altre composizioni, e forse per questo rinnegata dallo stesso Satie.

Images: © Caitlin Richards