La facciata della città come maxischermo del grande computer collettivo
di Daniele Lamuraglia
E arrivò il momento che le facciate divennero maxischermi, che la storia scomparve per far posto all’eterno presente, che alla differenza fu sovrapposta la ripetizione dell’identico, che il meraviglioso fu coperto dal già visto, che il mistero fu sostituito dal risaputo.
L’usanza di proiettare immagini sulle facciate di palazzi antichi sta ormai prendendo piede in molte città, suscitando ondate di emozione diffusa, una specie di stupore che mischia l’efficacia dell’effetto con la semplicità della sua realizzazione tecnica, e che sembra suscitare la genuina domanda: perché non averci pensato prima?
La risposta è altrettanto semplice: perché “prima” l’incantesimo scattava nel vedere la facciata, oggi nel rivedere ingigantite immagini che vediamo tutti i giorni sugli schermi dei computer.
L’obiezione che la proiezione sia solo una costruzione virtuale e momentanea, e quindi non invasiva, tale da permettere la salvaguardia della visione diurna della facciata, non inficia la radice di questa epocale trasformazione: è evidente che l’emozione per la visione delle immagini proiettate ha superato il livello di intensità che suscitava la visione della facciata.
Quelle che infatti vengono proiettate sui palazzi sono le riproduzioni delle stesse immagini che per qualche attimo soffermano l’attenzione dell’utente dei social network mentre scorre i post e i messaggi del suo pc. Ed è facile immaginare che solo pochissime persone si fermerebbero sulla fotografia di una facciata, che ormai compare solo come la traccia appena intuibile che fa da sfondo alla figura sorridente in primo piano dell’autore di un selfie.
Dopo la fase storica dell’installazione nelle piazze di schermi giganti bianchi per la visione collettiva dei grandi eventi, che ognuno poteva vedere dal suo televisore, i gestori della socialità di massa hanno sentito che era giunto il momento per ratificare una nuova sensibilità etica ed estetica, esportando e ingigantendo dimensionalmente quel microcosmo più attrattivo che è divenuto l’immaginario di internet.
Ma non si tratta solo di utilizzare degli schermi “già installati” e disponibili nelle piazze: l’operazione è piuttosto quella di creare una sovrapposizione delle nuove immagini che cancella – nel momento di massima energia emotiva – l’immagine delle opere d’arte architettonica antica. È una mascherata sfida tra due immaginari, una messa in competizione inconscia tra due forme di cultura e comunicazione, che rendono evidente un vincitore ed un perdente.
È quindi un’operazione cerebrale che induce ad una sottile liberazione psicologica e morale, che bruciava sotto le ceneri dell’attuale coscienza collettiva: basta con quelle noiose e incomprensibili architetture antiche, sono più belle le nostre nuove immagini.
La vecchia architettura – una volta dichiarata sorpassata emotivamente e moralmente dalla nuova architettura visiva – viene dunque conservata per quello che realmente oggi è divenuta: un brand, un marchio. Non si va più a vedere una città, un palazzo, una chiesa, un monumento, per l’interesse, la curiosità, la conoscenza, il piacere, che possono suscitare, ma si va per fotografare quel marchio che dà prestigio e valore al viaggio del turista (e per questo è necessario che la macchina fotografica ritragga il protagonista proprio al centro).
Che la facciata della Basilica di San Pietro sia la straordinaria occasione per scoprire attraverso la sua architettura tutta la storia artistica, sociale, economica, religiosa, politica, che scorre tra il Rinascimento e il Barocco, importa poco; che vi abbiano trasfuso le loro migliori invenzioni creative dei geni come Bramante, Raffaello, Antonio da San Gallo, Michelangelo, Gian Lorenzo Bernini, interessa ancor meno: quel che emoziona è l’ingrandimento dei desideri preconfezionati su quelle che ormai si possono definire solo facciate, e non sono che l’unica faccia dell’utente di una società massificata.
Ecco quindi le proiezioni dei soliti quattro artisti o quattro fotografi che stanno sui poster delle camerette e sugli sfondi delle scrivanie dei pc, e la riproposizione delle immagini che “hanno commosso il web”.
Non è difficile prevedere che dopo la distribuzione di questa nuova forma di panem et circenses, gli strateghi del marketing collettivo consentiranno di proiettare le foto delle vacanze ad una qualche modica cifra democraticamente accessibile a chi può permetterselo, sotto un luccicante slogan promozionale: “Una facciata famosa per rendere famosa la tua faccia”.
DANIELE LAMURAGLIA Scrittore, attore e regista. Ha scritto e messo in scena opere di teatro contemporaneo, collaborando con Antonio Tabucchi per “Cristo Gitano” (2002), con Alessandro Serpieri per “Shakespeare Messages System” (2003). Ha realizzato due film, “Firenze 17 luglio 1944” (2003) e “Il piccolo grande senso del dovere” (2010). Ha pubblicato “Il Libro di Cristo Gitano” per Pagnini Editore con la prefazione di Antonio Tabucchi (2005); “I 100 geni che hanno cambiato il mondo” per Mondadori (2010); “Opere teatrali” per A&B Editrice con la prefazione di Alessandro Serpieri (2011); un saggio sul teatro in “Differences on Stage” pubblicato da Cambridge Scholars Publishing (2013). Scrive articoli per riviste di comunicazione e cultura, come “Quaderno di comunicazione” e “Millepiani eterotopia”. E’ appena uscito il libro “Nuovo scenario italiano” di Maria Cristina Mauceri e Marta Niccolai (University College London) per Edizioni Ensemble (2015) che parla del suo teatro.