È tutto apparente a Buenos Aires, oggi. Tutti lo sanno e tutti giocano sul filo di questa facciata.
di Enrico Ratto
Le fotografie della serie “Buenos Aires. Pasado Y Presente” di Enrico Ratto
fanno parte della mostra Reflect des 2 Mondes, a Beaulieu sur Mer (Nizza)
dal 18 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015.
dal 18 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015.
Nello stesso contesto sarà presentato il quaderno “Buenos Aires di Enrico Ratto“,
con testi di Benedetta Donato e Frank Horvat.
con testi di Benedetta Donato e Frank Horvat.
La Buenos Aires della fine dell’800, quella della grande trasformazione economica e commerciale raccontata nel feuilleton dell’argentino Lucio Vicente López, sembra che assomigliasse ad un grande villaggio, La Gran Aldea.
Dev’essere stato davvero un bel periodo, il porto a La Boca funzionava a pieno regime, in centro venivano ridisegnati i lunghi viali ortogonali dove si affacciavano decine di teatri e café come il Tortoni, luoghi di cultura, di ritrovo e di ostentazione in una città in cui circolava molto denaro, molte materie prime e di conseguenza molti libri, molte parole, molta musica.
Quando sono arrivato per la prima volta a Buenos Aires, nel gennaio del 2015, l’illusione di essere atterrato in una Parigi a testa in giù è passata piuttosto presto, oltre ai libri, alle parole e alla musica non era rimasto praticamente nulla.
Dopo qualche giorno in mezzo a tutte queste meraviglie che furono, mi sono chiesto se lo splendore del più grande villaggio del sudamerica avrebbe mai potuto ripetersi. Se un giorno le facciate dei palazzi di Corrientes, le scalinate degli ospedali del centro, i cancelli dell’immenso edificio dell’acquedotto sarebbero mai stati riparati.
No, nessuno avrebbe mai trovato il denaro per farlo. Quei soldi non ci sono oggi e non ci saranno mai più. È un fatto più grande dell’ego di qualsiasi porteño.
Questo punto di vista ha forse un po’ deluso i miei amici del centro culturale a La Boca, perché qui la considerazione del proprio status supera qualsiasi attacco di realismo, soprattutto se arriva dall’esterno. “A Buenos Aires la situazione non è affatto negativa” mi hanno detto “i veri problemi stanno fuori, nelle pianure, noi stiamo bene”. Se è vero che nella pampa la situazione è ben peggiore, la realtà è che i manifesti pubblicitari del centro propongono i voli per Miami in sedici rate mensili.
E allora, come può essere così contemporanea questa città? Come può non esserci mai nulla di fermo dentro e fuori questi edifici che si affacciano sul traffico dei grandi viali? Perchè se nomini Buenos Aires, tutti pensano alla grandezza?
Intanto, credo che il primo passo della terapia sia stato rimuovere tutto ciò che ho descritto sopra.
Il passato di Buenos Aires riesce ogni giorno a trasmettere al presente qualcosa di più universale di un benessere tangibile. Durante il mese trascorso in questa città ho avuto la possibilità di visitare alcuni centri di detenzione della dittatura e, una volta elaborata la cosa, mi è rimasta la sensazione che questa nazione, e per nazione intendo quasi nulla che abbia a che fare con le istituzioni, non voglia togliere mai più la curiosità ai ventenni, ai trentenni, ai trentacinquenni. Spegnere qualsiasi tipo di luce oggi non è un’opzione contemplata dal vicino di pianerottolo.
Questo è il motivo per cui ai nipoti di questa gente – di fatto è stata saltata una generazione – è sempre e comunque concessa l’immaginazione. Immaginare è permesso ovunque, nei centri culturali allestiti nei portoni dei grandi palazzi, nei ristoranti, nelle gallerie d’arte dove non si capisce chi vende e chi compra, nei musei pronti ad accogliere, purché senza spese, qualsiasi iniziativa. È un’immaginazione certamente priva di possibilità reali, ma in grado di far circolare il sangue di questa città.
È tutto apparente a Buenos Aires, oggi. Tutti lo sanno e tutti giocano sul filo di questa facciata. Da un punto di vista economico, l’impressione è che nonostante tutto questo movimento che riempie le strade e i marciapiedi, a nessuno resti nulla per vivere, giusto qualcosa per sopravvivere e per andare a teatro.
Così come è un gioco la continua rincorsa tra passato e presente. I camerieri nei bar della colazione, elegantissimi e sempre pronti, ogni tre giorni aggiornano il prezzo del caffè sulla lavagna per tener testa all’inflazione. La differenza tra il cambio ufficiale e il cambio parallelo lo scorso gennaio era al quaranta per cento, lo certifica ogni giorno il Clarin nella pagina economica.
Parallelo non è solo il cambio del pesos, è il tempo ad essere perennemente in parallelo a Buenos Aires.
Pasado Y Presente, è questa l’infinita altalena su cui si muove la più straordinaria ed egocentrica città del Sudamerica, in grado di vivere la contemporaneità in un modo tutto suo, dove il passato ha un senso solo se specchiato nel presente e il presente sarebbe nulla senza l’inattaccabile fiducia in un futuro che ciascuno qui tenta di realizzare.