La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.
Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale.
di Clara Capelli
Non chiamatelo Paese dei gelsomini. A cinque anni dalla rivoluzione la Tunisia fatica ancora ad affermarsi fra i tanti stereotipi di cui è stata caricata, sia sulla sponda nord del Mediterraneo, sia fra i tunisini stessi. Un Paese che spesso non riesce a conoscere se stesso e che poco si racconta fuori dai suoi confini.
Alzi la mano chi può snocciolare qualche nome di autori, registi, musicisti tunisini. Difficile, vero?
La cultura tunisina è arrivata pochissimo in Europa, per una serie di ragioni che non staremo a spiegare ora. Ma se mai nella vita vi interessasse sapere cosa si dice nel Paese che quest’anno ha avuto l’attenzione di tutto il mondo per essere stato teatro di tre attentati terroristici e al tempo stesso premiato con il Premio Nobel per la Pace, eccovi qualche consiglio per arrangiarsi come si può con le poche risorse a disposizione.
I romanzi. Già si comincia male, perché di cose tradotte in italiano ce ne sono proprio pochine.
Di recentissima pubblicazione con Fazi è Ombre sul Mare di Azza Filali, medico e scrittrice di diversi libri, tutti in lingua francese. Curiosamente, il titolo originale dell’opera, Ouatann (patria), è l’unica parola in arabo. Ambientato nel 2008, poco prima della Rivoluzione, il romanzo intreccia le storie di diversi personaggi in fuga: chi da una società opprimente, chi dalla legge, chi da una vita familiare priva di affetti, chi da un mondo senza prospettive di lavoro e dignità. Tutti infelici in una patria spietata. Un buon affresco delle tante forme di violenza di cui il tessuto sociale tunisino è impregnato, benché l’autrice sfiori più volte il caricaturale quando descrive personaggi musulmani devoti, un elemento ricorrente in un certo tipo di produzione culturale tunisina.
Un utile strumento per comprendere qualcosa in più sulla transizione tunisina è I muri di Tunisi. Segni di Rivolta (Ɛxòrma Edizioni), in cui l’autrice Luce Lacquaniti documenta il periodo tra la Rivoluzione del 2011 e le elezioni della fine del 2014, fotografando, traducendo e commentando un numero impressionante di graffiti nel Paese. Ne risulta una riflessione dettagliata e originale sul significato stesso della Rivoluzione, i problemi sociali troppo spesso dimenticati, il rapporto tra politica e religione, la questione del potere e della sua gestione che rimane cruciale anche e dopo la partenza del dittatore Ben Ali (ma non di molti suoi uomini). Per chi parla francese, fatevi un giro sulla pagina Facebook Willis From Tunis: la storia recente della Tunisia viene mostrata in una serie di vignette in cui dei gatti – immancabile presenza delle strade tunisine – commentano sferzanti l’ipocrisia della politica e della società. Il personaggio del gatto Willis nasce proprio durante la Rivoluzione del 2011 dalla penna di una donna, Nadia Khiari, cosa che dovrebbe confortare tutti coloro che sono al momento preoccupatissimi per la questione di genere nel mondo arabo-musulmano.
Con i film la faccenda si complica maledettamente.
In italiano non troverete nulla, l’unica soluzione è YouTube e anche in questo caso le pellicole sottotitolate in francese o inglese sono pochissime. La selezione si restringe moltissimo. Halfaouine, l’enfant des terraces di Férid Boughedir narra la vita del quartiere di Halfaouine, noto per il suo animato mercato, tra donne in sefsari – il velo bianco tradizionale – e donne “moderne” e francesizzate, notabili locali e giovani “vitelloni” con poca voglia di lavorare ma determinatissimi a divertirsi.
Les Sabots en or e Making Of, entrambi di Nouri Bouzid, affrontano temi politici e sociali molto duri: il primo la repressione dei dissidenti durante la presidenza del “padre della Patria” Bourguiba, il secondo – uscito nel 2006 – lo smarrimento di una generazione di giovani con grandi sogni e nessuna prospettiva, amanti della breakdance e con lo sguardo verso l’Europa, vittime delle angherie delle forze dell’ordine e preda facile dei gruppi radicali.
Infine, la musica. Disponibili in Italia sono i cd di Anouar Brahem, raffinato suonatore di oud, il liuto tradizionale, di base a Parigi che ha rivisitato la musica della regione in chiave jazz.
Oltre a diverse colonne sonore di film tunisini (come Halfaouine), fra le opere più conosciute di Anouar Brahem (nella foto sopra) figurano Conte de l’incroyable amour, Le pas du chat noir e The astounding eyes of Rita. Anche Badia Bouhrizi El Werghi, in arte Neyssatou, mescola il patrimonio musicale tradizionale (anche berbero) con altri stili, soprattutto soul e reggae. Molte sue canzoni si trovano su YouTube, qualche volta (ma non sempre) con il testo, come Ila Salma – rivisitazione musicale della poesia della palestinese Fadwa Touqan per un’altra poetessa, Salma Al-Jayyousi – o la graffiante Ena 3yaech (“io vivo”). Se avete ancora voglia di scandagliare YouTube, le arrabbiate note reggae arrabbiate dei Nouveau Système valgono la pena di un ascolto con Miskin ya Biladi (“Povero paese mio”) o Mouwaten (“Cittadino”). Wen el-karama, wen 7orryat el-ta3bir?, dov’è la dignità, dov’è la libertà di espressione? si chiedono in un’altra canzone scritta poco più di anno dopo la Rivoluzione, dando voce alla frustrazione ma anche alla vigilante determinazione che contraddistingue tanti giovani tunisini.