La nuova alleanza di governo in Croazia e il premier tecnico usciti dalle elezioni dell’8 novembre fanno parlare della mancanza di una legittimità politica
di Francesca Rolandi
Un’alleanza tra il partito di centro-destra HDZ e la nuova forza emersa dalle elezioni Most è stata confermata alla vigilia di Natale, a sei settimane dallo svolgimento delle elezioni politiche in Croazia, dopo innumerevoli colpi di scena che hanno visto Most oscillare ripetutamente tra i due schieramenti.
Il balletto di dichiarazioni, accuse, annunci e chiusure dei negoziati, manovre intorno ai seggi destinati alle minoranze ha caratterizzato la scena politica croata dall’8 novembre, quando è sembrato chiaro che nessuno dei due maggiori partiti politici avesse la forza per costituire un governo.
In particolare le ultime 24 ore prima dell’incarico alla nuova coalizione da parte della presidente Kolinda Grabar Kitarović sono state particolarmente turbolente, con l’annuncio di un’imminente alleanza tra il partito socialdemocratico e Most, seguito da un ribaltone a distanza di poche ore.
Nelle ultime ore la questione è ruotata in particolare intorno alla scelta di un premier che, come richiesto da Most, fosse una personalità extra-partitica. La scelta dell’alleanza HDZ-Most è infine caduta su Tihomir Orešković, un manager con alle spalle una carriera internazionale costruita in Canada.
Dal momento che Orešković era sconosciuto ai più, le prime ore dal suo incarico sono state seguite da numerose ricerche su Google di cittadini croati che tentavano di scoprire chi fosse il nuovo premier.
A seguire a breve sono fioccate le battute sull’imbarazzante croato in salsa canadese e infarcito di errori parlato dal nuovo presidente del consiglio, nato in patria ma trasferitosi a poco più di un anno oltreoceano.
Lodato dalla coalizione di centro-destra, il nuovo presidente tecnocrate in salsa manageriale desta preoccupazioni in diversi settori della società, oltre che all’interno dell’alleanza di centro-sinistra e tra i sindacati.
Sono in molti a interrogarsi sugli esiti delle elezioni e sulla figura di Orešković. Innanzitutto sul significato di questo governo tecnicista, che viene forgiato dal piccolo partito Most sulla parola d’ordine delle riforme.
Riforme che vengono descritte come una panacea per i mali della Croazia, ma sulla cui natura esiste poca chiarezza. E che sono presentate come un passo sulla via dell’uscita della crisi, un tecnicismo che deve essere compiuto a prescindere dalla linea politica, anzi contro i partiti politici, considerati incapaci di portare al cambiamento.
E a sorvegliare sulla buona riuscita viene messo appunto il tecnico Orešković, manager di fama internazionale che possa dirigere dall’alto il processo. Un fallimento della politica definisce l’editorialista Jasmin Klarić la situazione creatasi, con la nomina di una personalità “che non ha avuto nemmeno un voto alle elezioni, delle cui idee sul paese e sulla società nessuno sa nulla, che su queste questioni non ha neppure avuto occasione di esprimersi”.
L’idea di presentare una linea politica come apolitica e tecnica, una ricetta necessaria sulla strada di un cambiamento dello status quo ha avuto numerose applicazioni – non da ultimo nel caso italiano – che in genere sono servite per portare avanti politiche di austerità che si sono irradiate dalla parola chiave della razionalizzazione.
Appare però quantomeno nuova in Croazia, dove, dall’indipendenza ad oggi l’agone politico è stato diviso tra i due maggiori partiti, in perenne guerra tra loro più per motivi ideologici ed identitari che per le politiche economiche.
Inoltre poco delle promesse elettorali è stato rispettato: i due maggiori partiti politici avevano candidato i rispettivi leader come eventuali premier e Most stesso aveva escluso un’alleanza con una delle due forze della vecchia politica, ad eccezione di una grosse Koalition con entrambe, che fin dall’inizio, nonostante diversi tentativi e dichiarazioni, era sembrata impraticabile.
E il nuovo governo nasce non nel migliore dei modi, a seguito di scambi e baratti condotti sul filo del rasoio, con il piccolo Most, ago della bilancia, pronto ad arraffare quante più poltrone e quanto maggiore spazio di manovra. Gli effetti dell’anti-politica portati avanti dal partito dei sindaci sembrano per ora essere stati lo svuotamento di significato politico delle elezioni in Croazia.