Colonna destra/ Samuel Bregolin

LA COLONNA DESTRA DEI SITI MAINSTREAM ITALIANI È IL TRIONFO DEI CLICK E LA MORTE DEL CONTENUTO IN RETE. DAI CASTORI CHE BALLANO ALLE ANATOMIE DEI CORPI ESIBITI IN FINTI SERVIZI RUBATI

Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale

di Samuel Bregolin

Questa colonna destra l’ho vissuta come quando ti ritrovi a essere in ritardo per i regali di Natale, hai presente quando a inizio dicembre procastini sereno dicendoti: “Vabbè, tanto c’è tempo!” sono sicuro che sarà capitato anche a voi. Ovviamente ti ritrovi al 22 di dicembre a non sapere dove sbattere la testa. Ecco! Io ho visto scorrere un giorno dopo l’altro le colonne destre di Angelo, Chicco, Antonio, e poi Cora, Costanza, Clara, Lorenzo e via via tutto il gruppo di Q. Ogni giorno mi ripetevo: “Vabbè, finisco di correggere questa presentazione e poi la scrivo, dai oggi mi concentro sulle foto ma domani…” il destino era inevitabilmente contro di me! Ti ritrovi lì, in salone, davanti al caminetto, con pacchi e pacchetti che passano da una mano all’altra. Poi stop e tutti ti fissano “e il tuo di pacco?”

Ecco, mi son detto, faccio come per i natali in famiglia: mi fermo all’autogrill e prendo la prima cosa che mi capita tra le mani. A parte che mi sembrava indecoroso, soprattutto visto il valore umano dei vari Qcoders sparsi per il mondo. Eppoi che faccio, già son di Rovigo, dopo il capodanno in Autogrill vado a prendere anche i regali! Mi sembrava ridicolo. Nel frattempo le lancette dell’orologio continuavano ad avanzare lente, pesanti e inesorabili, nel salone i bimbi stavano già togliendo le ghirlande dall’albero e io non avevo ancora trovato una soluzione.

Poi ho capito, non è che le idee da mettere sotto l’albero mi mancassero, è che quest’anno, il regalo vero, me l’hanno fatto gli altri: con una bella cena collettiva, dove finalmente, tra vino rosso e arrosticini, ho potuto vedere le facce di tanti Qcoders tutte in una volta (Nota tecnica per la redazione: mi ha fatto molto piacere conoscervi!) Spiegazione per chi legge e non c’era: viviamo sparpagliati su tre o quattro continenti diversi, riuscire a mettersi tutti attorno allo stesso tavolo, anche a Natale, è un evento!

La smetto qui. Tiro fuori i pacchetti.
V’immaginate se oltre che in ritardo mi presentavo pure con il regalo doppione? Stavo per mettervi sotto l’albero il documentario Sin nombre del 2009, anche perché sto partendo verso quelle latitudini. Fortunatamente durante l’anno ne ho visti più di uno. Ho passato i mesi autunnali in campagna, questo è un documentario che mi hanno fatto scoprire in un’azienda agricola, “Les chevres de ma mère”, le capre di mia madre, di una piccola, minuscola, praticamente inesistente produzione indipendente. La protagonista è Maguy, la madre della regista, ex sessantottina che da più di vent’anni produce formaggio di capra tra le gole del Verdon (sudest francese). Per riuscire a ottenere la pensione deve vendere le sue capre e trova una giovane diplomata in agronomia disposta e riprendere l’attività. Qui cominciano i problemi: con una burocrazia assurda e inconcepibile, che rende tutto estremamente difficile e aggrovigliato.
Non se ne parla molto, anzi, non se ne parla proprio, ma sono molti i giovani che vorrebbero trasferirsi in campagna e aprire un’attività economica in agricoltura. Un’ottusa burocrazia e mercati immobiliari improponibili glielo impediscono. In campagna c’è carenza di manodopera, mentre in città i ragazzi non trovano lavoro.

Altro pacchetto, altro documentario. “La soif du monde”, la sete del mondo, di Yann Arthus-Bertrand, a questo punto a chi non piacciono i francesi non mi scuserà certo di essere arrivato all’ultimo minuto, sforzatevi a guardarlo comunque, le immagini sono stupende. Quanta acqua consumiamo in un giorno? Anch’io avrei risposto non più di una decina di litri, questo perché non consideriamo l’acqua virtuale. Ho scoperto che ciascuno di noi consuma circa 5.000 litri d’acqua al giorno, dove si nasconde? È l’acqua consumata per produrre tutto quello che ci circonda. Servono tre litri d’acqua per produrre un solo litro di acqua minerale, 40 litri per far crescere un’insalata, 140 per ottenere una tazza di caffè, 185 per un chilo di pomodori, 330 per una baguette (Chiedo scusa, il regista è francese e la usa come unità di misura indiscutibile. Non credete comunque per per fare uno sfilatino o una ciabatta serva meno acqua!) volete una bottiglia di vino? Occorrerà consumare ben 960 litri d’acqua per averla, volete un chilo di mele? Saliamo 1.000 litri, vi piace il latte a colazione? Dovrete prendere 1.100 d’acqua sul bilancio idrico mondiale e così via via fino ad arrivare agli indumenti, per un paio di jeans si consumano ben 11.000 litri d’acqua. Altro che chiudere il rubinetto mentre vi lavate i denti!

Continuo con i documentari in lingua francese e a sfondo ecologico. Questo è del 2008, diretto da Marie-Monique Robin, la giornalista che ha scritto anche il libro. “Le monde selon Monsanto”, il mondo secondo Monsanto, sottotitolo: dalla diossina agli OMG, una multinazionale che vi vuole bene. Il film è una lunga sequenza e un’accusa ai crimini commessi da Monsanto in giro per il mondo, a partire dalla produzione dell’agente orange che non ha tristemente bisogno di alcuna presentazione, fino al diserbante Roundup, alla soia e al mais transgenici che si stanno mangiando il Sud del mondo. Il film svela anche le infiltrazioni dentro al governo degli Stati Uniti da parte di ex dirigenti o responsabili di Monsanto, le pressioni contro il ministero dell’agricoltura e il tentativo di mettere a tacere l’opinione pubblica.

Finisco cercando di salvare la faccia con chi non parla francese. “The salt of the earth” è il documentario del 2014 di Wim Wenders e che ripercorre tutta l’esperienza fotografica del brasiliano Sebastião Salgado. Le fotografie sono stupende e scorrono durante il film mentre un intimo Salgado le racconta a sé stesso e agli altri, ripercorrono i suoi lunghi anni da fotografo e reporter: dalle miniere d’oro in Brasile ai genocidi africani, dai pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente ai cambiamenti climatici. Dall’America Latina e le sue genti al Laboratorio Terra, un progetto voluto da Salgado: centinaia di ettari di foresta amazzonica ripiantata là dove era stata soppiantata, a causa dell’uomo, da terreni aridi. Pianticelle minuscole messe nella terra una ad una, per anni, e che ora sono ritornate ad essere foresta.