Di Adam McKay, con Christian Bale, Steve Carrell, Ryan Gosling, Brad Pitt, Marisa Tomei, Melissa Leo, Hamish Linklater, John Magaroo, Byron Mann. Nelle sale dal 7 gennaio.
di Irene Merli
Nel 2005, anno che ormai sembra lontanissimo, il mercato immobiliare americano appariva più stabile e florido che mai. Chiunque chiedesse un mutuo, specie a tasso variabile, era certo di averlo, anche se era straniero: quella è gente, si sa, che firmerebbe qualunque cosa pur di avere una casa.
Così quando l’ex neurologo Michael Burry, fondatore di un fondo di investimento, si presenta a varie ed importanti banche per proporre di scommettere in Borsa contro l’andamento di quel mercato, nessuno lo prende sul serio.
Eppure lo strano nerd che sta in ufficio in infradito e suona la batteria per rilassarsi, aveva visto quello che il mondo non vedeva ancora.
Con lui, più o meno negli stessi tempi, uno sparuto drappello di altri uomini – un dirigente di Deutsche Bank di New York, il capo di un altro hedge fund con la sua squadra di fedelissimi broker e due ragazzi del Colorado partiti da un garage che si appoggiano a un esperto di finanza pentito – aveva fiutato il tic tac della bomba a orologeria che sarebbe scoppiata nel 2007- 2008, scatenando la peggior crisi finanziaria ed economica americana dal 1929.
Un virus letale che poi si è sparso in tutto il mondo, compresa la lontana Islanda, di cui vediamo e sentiamo ancora le conseguenze, purtroppo. Uno tsunami a catena che ha svelato il lato oscuro dello spietato e irresponsabile capitalismo finanziario.
“La grande scommessa”, girato da un regista che viene dal Saturday Night Live, da collaborazioni con Will Ferrell e da un paio di film a forte carico di gag demenziali, e basato su un libro del miglior giornalista finanziario sul campo, racconta le vicende parallele ed incrociate di questi pochi e ben connotati personaggi, che scommisero sul crollo delle obbligazioni bancarie sui mutui immobiliari plurimi.
E grazie a uno script brillantissimo e a un abile montaggio arriva dritto al cuore di una materia più o meno ostica come la fisica quantistica. Eppure, dopo due ore e dieci di film in cui ci si trova spesso a ridere, pur ai bordi del crack, si esce avendo finalmente capito cosa ha portato a quell’incredibile bolla di cui abbiamo ancora le immagini negli occhi: milioni di disoccupati, case vuote e inchiodate, broker che uscivano da Lehman Brothers & similia con i cartoni in mano.
Perché l’equilibrata alternanza tra momenti comici, drammatici, bizzarrie e leggerezze non svilisce la serietà dei contenuti e i dettagli cronachistici: anzi, li aiuta e li rafforza, facendo penetrare la lama più in profondità senza usare i toni del pamphlet.
Tutto è spiegato nei dettagli ma in linguaggio cinematografico comprensibile, di efficace intrattenimento. I tecnicismi più complessi, come il rating più a rischio – l’AAA- o i CDO, vengono poi spiegati con esempi concreti da personaggi pop, come il cuoco Anthony Bourdain nella cucina del suo ristorante, Margot Robbie immersa in una vasca di schiuma mentre beve champagne o Selena Gomez alla roulette del casinò, in siparietti a parte.
“Non capite niente ugualmente? ” vi verrà detto dalla voce narrante del film, quella del dirigente di Deutsche Bank”beh, nessun problema. È quello che vogliono anche le banche: non farvi capire”.
Alcuni passaggi sono memorabili, come quello in cui Mark Baum, il diffidente e irascibile gestore del fondo di Wall Street, va in Florida a parlare con ballerine di lapdance, che durante la performance gli raccontano di aver avuto mutui per comprare 4 case e un appartamento senza dover fornire la minima garanzia.
O quello in cui l’analista di Standard & Poors spiega perché la sua agenzia non abbassi le valutazioni delle obbligazioni sui mutui che la gente non sta più pagando: semplicemente perché se no i clienti (le banche) andrebbero da Moody’s, dietro l’angolo. E lo stesso dice lo stimato giornalista del Wall Street Journal, avvertito dai due giovani lupi solitari delle bomba in via di scoppio: gli spiace, ma lui non si può bruciare i contatti in Borsa, ha un figlio in una prestigiosa università e un mutuo….
“Nulla di strano: come dice la voce narrante, ” la verità è come la poesia e a nessuno frega niente della poesia”. Certo, nel mondo raccontato da McKay i valori etici e il senso di responsabilità sembrano sconosciuti: tutti appaiono come eterni adolescenti resi ciechi dalla prospettiva dei folli guadagni. E più il regista gioca col cinema, più la desolazione morale risulta evidente. Perché, spiega il mentore pentito, per ogni singolo giochetto di Wall Street la vita e il lavoro di milioni di persone sono a rischio.
Non solo. L’affondo finale del film riporta il castello di carte ricostruito con tanta abilità a uno scontro umano, alla scelta personale che Baum è obbligato a compiere al termine della sua crociata: deve far guadagnare i suoi investitori sul crac, come gli altri. È l’America, bellezza: c’è sempre chi vince e chi perde. Ma l’onesto e amaro epilogo ci spiega che perdere sono pochi colpevoli e tantissime vittime. Ancora oggi.
Quanto al cast, a dire poco strepitoso, basti dire che sia Christian Bale ( il dottor Burry) che Steve Carrell (Mark Baum) sono candidati ai Golden Globe. Scommessa vinta, Mr McKay? In pieno, e senza lasciare morti sul campo.