Lo scorso 6 gennaio 2016 la biblioteca pubblica di New York (NYPL) ha reso pubbliche, gratuite, scaricabili nella migliore risoluzione possibile, senza restrizioni o iscrizioni online, più di 180mila fotografie
di Andrea Cardoni
“Imparate l’inglese!” Recita il poster della biblioteca pubblica di New York. “Lezioni gratuite per adulti di ambo i sessi”. Si offrono informazioni sull’acquisto della Cittadinanza Americana”. Poi la prima moneta nelle mani di una ragazzina immigrata appena arrivata nella terra nuova. Lo sguardo impaurito di una famiglia appena arrivata dal mare che ha perso il suo bagaglio. I giorni di attesa sulla faccia di un padre con sulle spalle una valigia chiusa da una corda su una barca del servizio immigrazione prima dello sbarco. Un ragazzino di dodici anni che lavora in una tipografia. Ecco cosa può raccontare il fondo delle fotografie degli immigrati italiani scattate a Ellis Island all’inizio del 1900 da Lewis Hine.
Lo scorso 6 gennaio 2016 la biblioteca pubblica di New York (NYPL) ha reso pubbliche, gratuite, scaricabili nella migliore risoluzione possibile, senza restrizioni o iscrizioni online, più di 180mila fotografie, cartoline, mappe e immagini delle sue collezioni. Un lavoro che non ha riguardato solo la datizzazione, ma anche la digitalizzazione e soprattutto la possibilità di fruire e usare liberamente elementi anche visivi, come illustrazioni botaniche, la documentazione di Berenice Abbott di 1930 New York per il Federal Art Project, le fotografie della Farm Security Administration, manoscritti di Walt Whitman o Nathaniel Hawthorne, la corrispondenza di Alexander Hamilton o Thomas Jefferson, spartiti dei canti popolari americani del Ventesimo secolo, 20.000 mappe e atlanti.
“La digitalizzazione è un punto di partenza”, ha dichiarato Ben Vershbow, direttore del NYPL Labs “noi non vogliamo solo caricare elementi online, ma incoraggiarne l’utilizzo e il riutilizzo”. Il NYPL Labs, nato nel 2011, nel giorno dell’apertura dei contenuti ha pubblicato progetti dimostrativi di come possa essere sfruttato l’uso e il riuso di questi materiali. Suggerimenti di quelle che sono le infinite combinazioni e possibilità di indagine rese possibili “liberando” queste collezioni: si può esplorare una planimetria dei palazzi del ventesimo secolo di New York giocando una sorta di Pac-Man o viaggiare sulla Quinta Strada con le fotografie grandangolari fatte dal fotografo Burton Welles nel 1911 e confrontarle con le immagini che oggi ci fornisce Google Street View. Sono solo alcuni degli esempi di come chiunque, anche scienziati, giornalisti, ricercatori, artisti, scrittori, possano fare ricerche e sfruttare liberamente questo materiale con file di alta qualità, con il download gratuito di API anche per gli sviluppatori.
Un approccio quindi non solo quantitativo alla diffusione libera dei materiali e quindi (forse) anche della cultura, ma anche qualitativo, di quello che, almeno così sembra, un modello open access. Può essere un modello alternativo di diffusione della cultura che permetta un accesso universale ai saperi e che magari non contribuisca al monopolio sempre più sovranazionale di Google o Amazon? Può un ente pubblico, con finalità collettive, diventare uno strumento utile alla ricerca e al progresso collettivo delle arti e delle scienze (come scrisse nella sentenza in cui il giudice Danny Chin fece prevalere le ragioni di Google Books contro la Authors Guild, il sindacato degli scrittori statunitense)? “Che sia un set di dati, un’immagine o un libro, la missione della biblioteca pubblica è sempre la stessa: prendilo e fallo tuo” ha detto qualche giorno fa Vershbow.
Sempre più istituti di cultura pubblici si stanno indirizzando sull’ “open content”: il progetto della biblioteca pubblica di New York segue quello fatto dal Rijksmuseum di Amsterdam che ha iniziato a fare più di 200.000 opere disponibili in scansioni di alta qualità. Due anni fa era stato il Getty Museum a decidere di rendere disponibili, gratuite e scaricabili 4.600 immagini del suo archivio.
E dalle nostre parti? In Italia le biblioteche sono 13457, 6310 delle quali affidate ai comuni, 1905 statali, 1377 a enti ecclesiastici (dati Anagrafe delle biblioteche italiane). Un dato interessante riguarda le modalità i accesso: il 76% è aperta a tutti, il 18% è a ingresso riservato. Rispetto alla digitalizzazione poi nel 2010 lo Stato Italiano aveva stretto un accordo con Google per la digitalizzazione di un milione di libri, non coperti da copyright, conservati nelle biblioteche di Roma e Firenze e nel 2012 con la digitalizzazione del patrimonio librario. Al di là di questi accordi, in questo momento non sono molti, in Italia, i progetti “open content” come #openGLAM, dove “GLAM” sta per Gallerie, Librerie, Archivi e Musei, e “open” sta per accessibile e fruibile su larga scala con la collaborazione con Wikimedia. Anche attraverso questo progetto si è andata sviluppando, ad esempio, la digitalizzazione della Biblioteca comunale Trento con un fondo di più di 6000 cartoline e cinquemila incisioni riguardanti il trentino.
Nell’ultimo piano triennale degli investimenti per la tutela del patrimonio culturale approvato pochi giorni fa dal ministero dei beni culturali, che prevederebbe 241 interventi in tutta Italia, ci sarebbeanche la digitalizzazione del fondo manzoniano e dei periodici della mediateca Santa Teresa (che costeranno 150 mila e 210mila euro). Ma mentre a New York e Amsterdam e in tante altri musei o biblioteche pubbliche di tutto il mondo si sta andando verso la digitalizzazione e, soprattutto, verso l’accesso libero e illimitato ai fondi e alle collezioni pubbliche anche online, da queste parti Giuseppe Genna si impegnava contro la chiusura della biblioteca di Calvairate a Milano, mentre ogni tanto qualche biblioteca pubblica prova a proporre abbonamenti annui o una qualsivoglia forma di pagamento dei servizi di biblioteche pubbliche.