di Francesca Rolandi
Il regista Oliver Frljić, direttore del Teatro nazionale di Fiume, 40 anni, originario della Bosnia Erzegovina, è un personaggio che divide la Croazia: simbolo per alcuni della strenue lotta per la libertà di pensiero e per il confronto con i tabù del passato più o meno recente, emblema per altri di tutto quello che è anti-croato, a-patriottico e contrario alla triade Dio-patria-famiglia.
Al centro di innumerevoli dibattiti politici, perseguitato dalle minacce dei gruppi ultrà, attaccato dal leader del partito conservatore HDZ Tomislav Karamarko – che ha dichiarato di volerlo sostituire dopo le elezioni, Frljić ha alle spalle una serie di progetti che mettono il dito nella piaga delle questioni irrisolte della memoria pubblica croata.
I suoi spettacoli sono stati seguiti da infuocate proteste di uno schieramento che andava dall’Opus Dei ai veterani dell’ultima guerra alle associazioni che ruotano intorno – in senso esclusivista – alla parola d’ordine di famiglia.
Il nuovo spettacolo “Kompleks Ristić”, frutto di una coproduzione tra il teatro fiumano, il Teatro giovanile sloveno, il festival teatrale belgradese Bitef e il festival macedone Mot, parte dalla parabola esistenziale di Ljubiša Ristić, regista teatrale jugoslavo di avanguardia.
Ristić, che aveva partecipato alle proteste studentesche, si impose come autore d’avanguardia fu fondatore negli anni ’70 del progetto pan-jugoslavo KPGT (kazalište, pozorište, gledališče, teatar), dal nome della parola teatro nelle lingue ufficiali dell’allora federazione jugoslava, che ruotava intorno all’idea di creare uno spazio di dialogo culturale jugoslavo, un “teatro della rivoluzione permanente”. Richiamare il quale significa oggi, da parte di Frljić, anche ricollocare questa questione nello spazio odierno post-jugoslavo.
Ristić incarna le contraddizioni all’interno delle quali si incagliò l’idea di Jugoslavia: finì negli anni del tramonto di Milosevic come leader dello JUL, piccolo partito di Mira Marković e anima nera di quel corto circuito che si creò nella Serbia degli anni ’90 tra le parole chiave del socialismo, ormai svuotate di significato, e un regime nazionalista e autarchico. Fu anche una delle poche vittime della lustracija in Serbia, espulso dal mondo culturale degli ultimi due decenni.
Lo spettacolo, praticamente privo di dialoghi, con una colonna sonora ossessiva di canti partigiani, utilizza i corpi degli attori, impulsi sessuali animali, i liquidi corporei, sputi, urina e sangue in uno sconvolgimento che trasfigura gli attori sul palcoscenico, trasformandoli in burattini macabri che in diversi modi richiamano alla fine violenta dell’idea di Jugoslavia annegata nella guerra. Il tutto condito da un’atmosfera onirica.
All’interno dello spettacolo si rincorrono una serie di citazioni ed elementi simbolici sul piano letterario, cinematografico e teatrale, tra cui una famosa scena censurata del film “Plastični Isus” del regista Lazar Stojanović, unico film della storia jugoslava a creare uno scandalo tale da portare alla condanna al carcere dell’autore.
La scena censurata era quella del vero matrimonio proprio tra Ljubiša Ristić e la pittrice Višnja Postić nella quale comparivano i genitori di entrambi, ufficiali dell’esercito nazionale jugoslavo e altri amici di famiglia, vicini ai servizi di sicurezza, la temuta Udba. E fu proprio la costante comparazione di diversi simboli di regimi totalitari, tra i quali implicitamente veniva inserita anche la Jugoslavia dell’epoca, a valergli la condanna.
Stojanović era uno degli esponenti dell’Onda nera, la corrente cinematografica che, partendo da una critica del reale che traeva spunta dal neorealismo – un genere considerato estremamente ortodosso – arrivò in breve a condannare gli aspetti contraddittori dell’esperienza jugoslava, le diseguaglianze, il militarismo e l’alienazione che non avrebbe dovuto affliggere l’uomo socialista.
La Jugoslavia trasse un grande beneficio dall’Onda nera in termini di libertà dal pensiero unico, anche se molte delle opere chiave rimasero fuori dalla portata del pubblico per decenni. Così come nella Croazia post-transizione, dove appare sempre più marcata un’atmosfera politica conservatrice, c’è sempre più bisogno delle opere di Frljić.