Sono una persona, non una questione politica

L’Italia e il reato di clandestinità

di Flavia Zarba, tratto da IRPI

Secondo un sondaggio Ixè, il 47% degli intervistati italiani si dice contrario all’abolizione del reato di immigrazione clandestina. Eh sì, da giorni ormai non si parla d’altro e tutti vogliono giustamente fare sentire la propria voce sulla scottante questione.

Il governo italiano ha infatti deciso di rinviare la decisione sulla depenalizzazione del reato di clandestinità che resta, pertanto, in vigore. E tutti coloro con la qualifica di “clandestini” si ritrovano (erroneamente) al centro di un dibattito politico senza considerare che si tratta di una “questione” di natura squisitamente giuridica.

Cerchiamo allora di capire che cos’è questo “reato di clandestinità” (tanto amato dalla destra politica): il riferimento è all’articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione, introdotto nel 2009 dal quarto governo Berlusconi.

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonchè di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. ”

Si tratta di una norma volta a punire sia chi si introduce “illegalmente” nel Paese, sia chi, seppur entrato con un visto o un regolare permesso di soggiorno, rimane in Italia illegalmente oltre la scadenza del suo titolo “legale” di soggiorno.

E se una famosa canzone di Manu Chao intitolata “Clandestino” recita “Mi basta andare con il mio dolore, sola è la mia convinzione, la corsa è il mio destino, per aggirare la legge” chiediamoci allora cosa succeda in questi casi.

Il clandestino, una volta identificato, riceve un provvedimento di espulsione dallo Stato. Molto spesso però la procedura di identificazione si complica e così, “il clandestino” viene accompagnato in un Centro identificazione e espulsione (il cd “Cie”) dove viene identificato e poi espulso. Eppure in tanti (persino nei commenti radiofonici) continuano a fare confusione e scambiano la qualifica di “immigrato clandestino” con quella di “reo” .

“La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.” Così recita l’art.10 della nostra Costituzione.

E se “nelle cose chiare non è concessa l’interpretazione” allora sarà semplice comprendere che non si può punire qualcuno per il solo fatto di essere “diverso” perché una tale previsione, come evidenziato recentemente dai più acuti costituzionalisti, renderebbe criminale la sola condizione del trovarsi in uno “status” e sarebbe pertanto incostituzionale. Senza considerare che un tale reato non avrebbe alcun effetto deterrente, perché, nel 99% dei casi, i migranti clandestini sono nullatenenti e come potrebbero pagare l’ammenda prevista dal reato se non possiedono null’altro che i propri indumenti?

E, qualora le considerazioni teoriche non bastassero, si potrebbe quantomeno dar spazio alle argomentazioni dei processualisti i quali hanno sostenuto che “i magistrati che interrogano dei migranti appena sbarcati in Italia per indagare sugli scafisti che li hanno trasportati sono costretti a considerare gli stessi migranti imputati del reato di clandestinità.

Nel diritto processuale, un imputato non ha alcun obbligo di dire la verità e può rifiutarsi di rispondere alle domande dei magistrati” e, conclude Franco Roberti , superprocuratore antimafia, “Se non ci fosse il reato di clandestinità, i migranti sarebbero sentiti come testimoni o persone informate sui fatti, con l’obbligo di dire la verità e senza la possibilità di sottrarsi o depistare le di indagini”.

Eppure pare che Renzi abbia cominciato a indicare come non più urgente l’abrogazione del reato di ingresso clandestino in Italia. E c’è anche chi, senza cogliere le approfondite critiche giuridiche, continua a farne una questione squisitamente politica.

“Il mio no alla cancellazione del reato di clandestinità riguarda esattamente questo: il momento è molto particolare e non dobbiamo dare agli italiani l’idea di un allentamento della tensione sulla sicurezza proprio mentre chiediamo di accogliere i profughi”. Ha recentemente dichiarato Alfano.

Anche il presidente del Veneto, Luca Zaia, critica l’intenzione del governo di cancellare il reato di immigrazione clandestina. “Il popolo italiano non vuole più vedere fantasmi senza identità che girano nei territori – afferma – che segnale diamo al terrorismo e a chi viene qui soltanto per delinquere? Il segnale di uno Stato imbelle”. Ecco che, in tanti, come fossero offuscati dal qualunquismo, dimenticano che il solo fatto di abbandonare uno Stato non significa voler andare in un altro per delinquere.

Anche gli immigrati clandestini: “sono persone che bevono, mangiano e respirano come noi, tutti i giorni. Non vengono a spassarsela in Italia perché pensano che il nostro sia un gigantesco centro vacanze, ma perché non hanno vere alternative nel loro Paese”.